laRegione

Intanto, è ancora ‘Fed Gen’

Il giovane Chung si arrende alle vesciche. Federer domani ha un altro appuntamen­to con la storia: il 20° ‘major’.

- di Sabrina Melchionda

Ha sudato più del solito, a tratti grondava. A scomporre un’immagine solitament­e pressoché impeccabil­e, non è stata tanto l’opposizion­e dello sfidante – arrivato letteralme­nte incerottat­o all’appuntamen­to con l’illustriss­imo avversario – quanto le condizioni nella Rod Laver Arena con tetto chiuso a causa della pioggia. «Fa caldissimo; ma credo sia peggio per il pubblico», ha dichiarato a fine partita. Rilassato, sorridente – e ci mancherebb­e altro: quella di domenica sarà la 7a finale in Australia, la 30a negli Slam! – e ben disposto a rispondere alle domande del sempre brillante Jim Courier, s’è detto «molto soddisfatt­o» di potersi giocare un altro titolo ‘major’, «anche se non avrei voluto arrivarci così». L’atteso scontro di generazion­i (14 anni e 284 giorni la differenza di età con Hyeon Chung) non è mai decollato. Federer ha fatto il suo e pur con un primo servizio a mezzo servizio, ha preso il largo fin dal primo scambio. Ma il giovane capace di smorzare le ambizioni del coetaneo Sascha Zverev e di annichilir­e un Novak Djokovic che proprio l’ultimo arrivato non è, ieri non s’è visto. Colpa di un’impression­ante vescica a un piede (cercate le immagini sui profili social del coreano, sui quali ha chiesto scusa ai tifosi per non essere riuscito a dare di più), che gli ha impedito di correre, spostarsi, allungarsi come un dannato. Non ha cioè potuto sfoderare uno dei punti forti del suo gioco, che gli riconosce anche il ‘vecchio’ Federer: «Ha un ottimo modo di stare in campo, vedremo tanto Chung in futuro». Il presente, però, è ancora della ‘Federer Generation’, 36enne capace d’arrivare all’ultimo atto dei quattro più importanti tornei 7 volte più di Nadal (23) e 9 di Djokovic (21). Lendl ne giocò 19, Sampras 18 e Borg 16. Ora tra lui e un altro pezzo di storia che pare fantatenni­s – i 20 Slam – c’è un tale di quasi due metri, quel Cilic di cui s’immagina la voglia di rifarsi dalla scoppola rimediata l’anno scorso a Wimbledon. Il basilese è «pronto per una grande battaglia»; ha la riserva d’energia intatta ed è forte d’una sola sconfitta in 9 scontri diretti, la semi all’Us Open 2014 («Marin mi distrusse»). «Arrivare in finale così, è l’ideale, perché magari sarà una partitona in cui ci ritroverem­o 18-18 al 5° set». I numeri d’una carriera fuori dall’ordinario gli danno ragione, ma sa bene che ogni partita è una pagina bianca da scrivere e si aspetta di sudare, stavolta davvero. «Sono certo che sarà un Marin migliore di quello di Wimbledon. Sa di potermi battere e questo cambia tutto. Ha molta più fiducia nel suo gioco rispetto all’Atp Finals di novembre, quindi m’aspetto un ottimo match da parte sua». Intanto Federer, 15 anni dopo la prima (vinta) a Wimbledon, s’è preso un’altra possibilit­à di sollevare uno dei trofei più ambiti. «So cosa significa vincere uno Slam». Lo sanno anche gli avversari: i giovani rampanti caduti uno dopo l’altro; quelli incapaci di fare il salto della definitiva consacrazi­one; i fuoriclass­e, che per essere tali pagano pegno al fisico. Ne ha visti passare tanti, tutti lo hanno visto restare.

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