‘Asino, non vali niente!’
‘L’umiliazione in classe è devastante per l’autostima dell’allievo’
L’umiliazione di un bambino – sia verbale, sia fisica – è sempre una pessima idea, perché spinge il minore a chiedersi nel suo intimo: ‘Ma io valgo qualcosa?’. «Umiliazioni ripetute a scuola possono essere devastanti sul piano dell’autostima, che è la benzina della vita. Sono esperienze che possono lasciare tracce per una vita intera», spiega lo psicologo e psicoterapeuta Fsp Pierre Kahn. Vista la lettera pubblicata sulla ‘Regione’ sabato in pagina di Mendrisio e gli atteggiamenti fuori posto di docenti (vedi sotto), messi sotto inchiesta amministrativa, chiediamo all’esperto, spesso coinvolto in mediazioni tra studenti, famiglie e docenti, di spiegarci il punto di vista del bambino: cosa passa nella testa di chi è bersagliato da un docente?
Ci sono segnali anche per i genitori
La scuola non è più quel luogo dove volano sberle, tirate di orecchie, insulti agli allievi più vispi o diversamente intelligenti. Per anni la società ha tollerato la violenza come strumento educativo, anche a scuola, privando i minori dei loro diritti, perché obbligati a subire in silenzio. Oggi anche grazie a test neurologici sappiamo che il maltrattamento, anche verbale, ripetuto può avere effetti sullo sviluppo del cervello dei bambini, tali da renderli adulti incapaci di empatia. A dirlo è il neuropsichiatra francese Boris Cyrulnik, professore dell’Università di Tolone e padre della resilienza. Ossia la capacità di alcuni bambini maltrattati a resistere e superare i loro traumi – che siano lutti precoci, abbandoni, botte, insulti – e diventare adulti felici, mentre altri, con vissuti analoghi, annegano nel pantano della loro disistima. «Chi subisce umiliazioni continue può diventare un adulto asociale, incapace di provare empatia oppure al contrario un adulto abile a mettersi nei panni degli altri, proprio grazie al suo vissuto». Il silenzio che talvolta circonda questi fatti non aiuta le vittime, la cronaca ci mostra che spesso sono i genitori a segnalare i casi. «L’umiliazione fa ancora
più male e può avere effetti davvero devastanti se il bambino non trova un contesto, soprattutto a casa, che lo ascolta, capisce e protegge», precisa. Sberle e umiliazioni non devono essere tollerate, ma anche il lavoro del docente può mettere a dura prova i nervi. «Quando c’è un problema, l’umiliazione è uno strumento comunque inadeguato: invece
di far riflettere l’allievo su ciò che sbaglia, il docente ferisce la sua autostima». Quando ci sono problemi di questa natura, vanno trovate vie di uscita. A volte basta cambiare punto di vista. «Dopo aver raccolto il vissuto del bambino, parlo col docente per capire la problematica e come risolverla: alcuni maestri non si rendono conto delle conseguenze del loro comportamento, ma si frenano quando capiscono la sofferenza causata all’allievo». Se il bambino non dovesse parlare, come può la famiglia capire che qualcosa non va? Risponde sempre Kahn: «Un bambino che subisce per un certo tempo una situazione umiliante e non si confida con nessuno, mostrerà dei segnali: ad esempio, lamentando mal di pancia per non andare a scuola ed evitare così il problema. Oppure repentini cambiamenti di umore, poca voglia di giocare e mangiare, sonno disturbato». Infine chiediamo, come è un buon docente: «Severo ma giusto. Il senso di ingiustizia può provocare rabbia e comportamenti reattivi nel bambino».