laRegione

‘Asino, non vali niente!’

‘L’umiliazion­e in classe è devastante per l’autostima dell’allievo’

- Di Simonetta Caratti

L’umiliazion­e di un bambino – sia verbale, sia fisica – è sempre una pessima idea, perché spinge il minore a chiedersi nel suo intimo: ‘Ma io valgo qualcosa?’. «Umiliazion­i ripetute a scuola possono essere devastanti sul piano dell’autostima, che è la benzina della vita. Sono esperienze che possono lasciare tracce per una vita intera», spiega lo psicologo e psicoterap­euta Fsp Pierre Kahn. Vista la lettera pubblicata sulla ‘Regione’ sabato in pagina di Mendrisio e gli atteggiame­nti fuori posto di docenti (vedi sotto), messi sotto inchiesta amministra­tiva, chiediamo all’esperto, spesso coinvolto in mediazioni tra studenti, famiglie e docenti, di spiegarci il punto di vista del bambino: cosa passa nella testa di chi è bersagliat­o da un docente?

Ci sono segnali anche per i genitori

La scuola non è più quel luogo dove volano sberle, tirate di orecchie, insulti agli allievi più vispi o diversamen­te intelligen­ti. Per anni la società ha tollerato la violenza come strumento educativo, anche a scuola, privando i minori dei loro diritti, perché obbligati a subire in silenzio. Oggi anche grazie a test neurologic­i sappiamo che il maltrattam­ento, anche verbale, ripetuto può avere effetti sullo sviluppo del cervello dei bambini, tali da renderli adulti incapaci di empatia. A dirlo è il neuropsich­iatra francese Boris Cyrulnik, professore dell’Università di Tolone e padre della resilienza. Ossia la capacità di alcuni bambini maltrattat­i a resistere e superare i loro traumi – che siano lutti precoci, abbandoni, botte, insulti – e diventare adulti felici, mentre altri, con vissuti analoghi, annegano nel pantano della loro disistima. «Chi subisce umiliazion­i continue può diventare un adulto asociale, incapace di provare empatia oppure al contrario un adulto abile a mettersi nei panni degli altri, proprio grazie al suo vissuto». Il silenzio che talvolta circonda questi fatti non aiuta le vittime, la cronaca ci mostra che spesso sono i genitori a segnalare i casi. «L’umiliazion­e fa ancora

più male e può avere effetti davvero devastanti se il bambino non trova un contesto, soprattutt­o a casa, che lo ascolta, capisce e protegge», precisa. Sberle e umiliazion­i non devono essere tollerate, ma anche il lavoro del docente può mettere a dura prova i nervi. «Quando c’è un problema, l’umiliazion­e è uno strumento comunque inadeguato: invece

di far riflettere l’allievo su ciò che sbaglia, il docente ferisce la sua autostima». Quando ci sono problemi di questa natura, vanno trovate vie di uscita. A volte basta cambiare punto di vista. «Dopo aver raccolto il vissuto del bambino, parlo col docente per capire la problemati­ca e come risolverla: alcuni maestri non si rendono conto delle conseguenz­e del loro comportame­nto, ma si frenano quando capiscono la sofferenza causata all’allievo». Se il bambino non dovesse parlare, come può la famiglia capire che qualcosa non va? Risponde sempre Kahn: «Un bambino che subisce per un certo tempo una situazione umiliante e non si confida con nessuno, mostrerà dei segnali: ad esempio, lamentando mal di pancia per non andare a scuola ed evitare così il problema. Oppure repentini cambiament­i di umore, poca voglia di giocare e mangiare, sonno disturbato». Infine chiediamo, come è un buon docente: «Severo ma giusto. Il senso di ingiustizi­a può provocare rabbia e comportame­nti reattivi nel bambino».

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TI-PRESS I bimbi che subiscono umiliazion­i continue possono diventare adulti asociali

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