Ordini di grandezza
Qual è il rischio di una crisi del debito cinese? Per rispondere, utilizzeremo gli ordini di grandezza stimati dall’Fmi. Il credito in Cina è intermediato principalmente dall’enorme settore bancario (attivi e capitale pari risp. al 310% e 35% del Pil), di cui lo Stato è il maggior azionista. La gestione dei crediti deteriorati è facilitata dai confortevoli margini d’interesse: i risparmi sono abbondanti e l’offerta di credito è razionata. Non garantito da Pechino, il debito dei governi locali è esiguo (20% del Pil). Il debito delle famiglie (45% del Pil) e dei veicoli di finanziamento dei governi locali (30%) è principalmente ipotecario. Un collasso duraturo del mercato immobiliare è però improbabile, perché il processo d’urbanizzazione stimolerà gli investimenti residenziali ancora per molto. Il debito delle imprese non finanziarie ammonta al 135% del Pil. Le imprese statali (Soe) sono considerate vulnerabili (debito pari al 77% del Pil). Non mancano però di attivi (200% del Pil), sono diversificate settorialmente e beneficiano di supporti pubblici. Soffrono di sovra-capacità solo in alcuni settori, per cui una recessione per crollo degli investimenti è da escludere. Il debito delle imprese zombie è alto ma gestibile (20% del Pil, per metà di Soe). Il debito in Cina è elevato complessivamente (250% del PIL), ma nessuna delle componenti è in grado di provocare una combinazione di crisi bancaria, “credit crunch” e recessione. Il governo centrale ha poco debito (20% del Pil), controlla la banca centrale e indirizza il credito. Può quindi sostenere ampiamente la crescita in caso di choc. In definitiva, il rischio di una crisi del debito nel breve è inferiore al rischio di cattiva allocazione degli investimenti e di stagnazione nel lungo periodo.