Gm più piccola ma più redditizia
New York – Un bravo manager nato e cresciuto in azienda, figlio di un operaio della Pontiac, vecchio marchio del gruppo. Una bella storia da vendere alla stampa: la prima donna al mondo a guidare un grande gruppo automobilistico, dopo aver percorso per oltre 35 anni tutti i gradini di una lunga scala interna. Da apprendista che a 18 anni lavorava in catena di montaggio per mantenersi agli studi universitari in ingegneria, a capo delle risorse umane, a vicepresidente esecutivo con la responsabilità del prodotto. E infine, dal dicembre del 2013, amministratore delegato. Quando prese in mano lo scettro di un impero automobilistico vacillante, la General Motors, Mary Barra fu accolta con molto scetticismo: un dirigente meritevole, ma non il leader capace di imporre un radicale cambiamento di rotta del quale il vecchio pachiderma in crisi aveva disperatamente bisogno. Niente a che vedere con gli altri capi carismatici: Carlos Goshn di Renault-Nissan, Sergio Marchionne di Fiat-Chrysler (Fca), Alan Mulally, arrivato dalla Boeing per ricostruire la Ford. O lo stesso Dan Akerson: l'ex mago delle telecomunicazioni chiamato a salvare Gm nel suo momento più difficile, che ora cedeva il posto alla Barra.
Decisioni coraggiose guardando al futuro
Nei quattro anni al vertice del gruppo di Detroit questa discendente di immigrati finlandesi (Barra è il cognome del marito, il suo è Makela) ha preso molte decisioni coraggiose, di rottura, ridimensionando il gruppo ma anche rendendolo più redditizio e, soprattutto, proiettandolo verso il futuro. È presto per dire se Mary ha vinto la sua sfida: il futuro dell’auto resta precario e le scommesse sull’elettrico e i veicoli a guida autonoma potrebbero anche rivelarsi una fuga in avanti. Ma non è presto per riconoscere che i giudizi iniziali (‘è un peso leggero, un’incognita, una lavagna bianca’) erano, quantomeno, ingenerosi. La Barra ha smentito i suoi critici già pochi mesi dopo l’insediamento: con l'azienda costretta a ritirare due milioni e mezzo di veicoli difettosi, non ha cercato scuse, non ha scaricato le responsabilità sui suoi predecessori. Si è presa tutte le responsabilità, si è scusata coi clienti e si è rimboccate le maniche cercando di riconquistarne la fiducia.
Investimenti miliardari e tagli alle attività problematiche
Ma il suo coraggio lo ha dimostrato soprattutto negli ultimi due anni: prima investendo un miliardo nell’acquisto di Cruise Automation, una start up di San Francisco che aveva sviluppato un suo originale software per la guida di autorobot, e 600 milioni in Lyft, la piattaforma digitale per servizi di autopubblica concorrente di Uber, poi agendo con decisione per dismettere le attività più problematiche di General Motors. Rifiutata l’offerta d’integrazione con Fca, lo ha fatto anche a costo di ridimensionare drasticamente un gruppo che è stato per decenni il massimo produttore mondiale di auto mentre ora è scivolato al quinto posto, sopravanzato non solo da Toyota e Volkswagen ma anche, dopo tagli e cessioni dell’ultimo anno, da Renault-Nissan e Hyundai-Kia.
Concentrarsi su Usa e Cina
Nell’estate scorsa la Barra, senza timore di esporsi a critiche, ha annunciato la vendita delle attività europee – Opel e Vauxhall – alla francese Psa: 1,2 milioni di auto prodotte in meno, ma anche l’addio a una storia di perdite ininterrotte vecchia di quasi vent’anni nel corso dei quali Gm ha bruciato in Europa oltre 20 miliardi di dollari. Subito dopo la Barra ha abbandonato anche il mercato russo e quello sudafricano, anch’essi disastrosi per il gruppo, e ha ridimensionato la produzione in Australia. Concentrandosi, invece, sui mercati migliori: Stati Uniti e Cina.
Valore in borsa cresciuto
I risultati le danno ragione: oggi Gm è un gruppo molto più piccolo, ma più redditizio il cui valore in borsa nell’ultimo
anno è cresciuto di oltre il 25 per cento, mentre quello del rivale diretto, la Ford, è addirittura calato. Dopo Marchionne, che ha riportato in vita due aziende quasi fallite – prima Fiat, poi Chrysler –, anche Barra si è presa la sua rivincita sulla Ford: l’unica delle big three di Detroit che nel drammatico 2010 non aveva dovuto dichiarare bancarotta e chiedere aiuto al governo Obama.
Verso un ulteriore aumento dei profitti
Gli analisti prevedono che nei prossimi giorni, quando verranno pubblicati i risultati dell’ultimo trimestre 2017, Gm registrerà un ulteriore incremento dei profitti. Ma, più che il risultato economico immediato, a ridare fiducia agli esperti del settore è il fatto che il dinosauro con un portafoglio prodotto piuttosto antiquato è diventato qualcosa di totalmente diverso sotto la guida della Barra. Abbandonati i gloriosi coupé e le berline di lusso – vetture che hanno fatto la storia di Gm come le Cadillac o le Chevrolet Impala, ma che ormai si vendono con difficoltà –, Barra continua a puntare sui motori tradizionali a benzina scommettendo sui Suv e sui pick-up come il Silverado: veicoli che si vendono bene e con alti margini di profitto.
Auto elettriche e senza autista
Soldi che la Barra ha investito nelle auto elettriche e in quelle senza autista. Scommessa prematura? Qualcuno sospetta di sì, ma di certo oggi Gm, tra i produttori tradizionali, è quello più preparato ad affrontare le sfide del futuro. E se fino a qualche tempo fa molti analisti pronosticavano l’estinzione delle Case di Detroit, con le vetture del futuro – computer su quattro ruote per dirla con Elon Musk – prodotte da Apple, Google o Tesla, adesso i centri di ricerca giudicano che il sistema di guida automatica più avanzato sia proprio quello sviluppato dalla General Motors, seguito da Waymo di Google. Intanto nella battaglia per l’auto elettrica ‘popolare’ Gm, con la sua Chevy Bolt, sta vincendo la sfida non solo con la Nissan Leaf, ma anche con Tesla, visto che Musk fatica ad aumentare la produzione del suo Model S. Così Tesla, che l’anno scorso, con poche decine di migliaia di vetture vendute, era arrivata a valere, in Borsa, più di General Motors che di auto ne vende ancora circa otto milioni l’anno, è stata superata di nuovo dal gruppo di Mary Barra. Anche questa più una curiosità giornalistica che altro. Ma aiuta a incoronare la Barra come manager carismatico, oltre che di successo: tosta negli affari quanto gli uomini, ma senza trascurare le donne, con l’impegno per la diffusione tra loro degli insegnamenti scientifici e contro gli abusi sul posto di lavoro.