Non è una fame da lupi
Cani e cibo: intervista alla dottoressa Barbara Gallicchio, protagonista di un seminario a Manno A differenza di quanto si possa pensare, il migliore amico dell’uomo non ha le stesse esigenze del cugino selvatico in fatto di alimentazione, che deve essere
Frutto di anni di studio e ricerche, l’esperienza portata a Manno – durante un seminario tenutosi prima di Natale – dalla dottoressa è preziosa per i padroni dei cani e per i fidi compagni di vita.
Partiamo dalle basi, cosa unisce e cosa differenzia i cani dai lupi?
Il patrimonio genetico è uguale, le due specie sono interfeconde. Tuttavia, questi geni hanno delle varianti legate al processo di addomesticamento. E sono molto significative, determinando delle modifiche per esempio nella socializzazione. Nei cani, e negli animali domestici in generale, i tempi in cui si manifestano i comportamenti da stress sono ridotti. C’è poi anche una forte dissociazione tra maturità sociale e sessuale: quest’ultima, nel cane domestico è molto anticipata.
La maturità sociale arriva più tardi?
È molto ritardata, in un certo senso non arriva. È difficile parlare di maturazione vera: il cane domestico non lascia mai – di sua spontanea iniziativa – la famiglia di partenza. Non fonda un branco proprio: quello originario (mamma e fratelli, ndr) viene sostituito da quello umano, da cui il cane viene adottato. In un certo senso, rimane sub-adulto tutta la vita. Salvo eccezioni, non diventano indipendenti.
Questo che ripercussioni ha, se pensiamo all’alimentazione?
Tutta la vita dei cani si gioca su questo dualismo: per certi versi sono ancora lupi, per altri no. Vale pure per il cibo. L’apparato digerente è ancora da lupo – intestino breve, da carnivoro, non in grado di produrre vitamine B dagli alimenti –, però a sua differenza riesce a digerire il glutine. Questo è dovuto alla lunga convivenza con l’ambiente umano, si sono adattati al nostro binario evolutivo.
Non ci sono delle eccezioni?
Sì e riguardano tutti i cani ferali. Fra questi, il dingo australiano è il più famoso. Erano domestici: arrivarono in Australia con i proto-aborigeni, che però – essendoci nel nuovo continente una grande quantità di prede facili da uccidere – non ne ebbero più bisogno e li lasciarono andare. Si sono inselvatichiti e oggi hanno caratteristiche più lupine e meno canine.
Sarebbe quindi immaginabile un inselvatichimento di altre razze?
Per molte no. Per i cani che hanno subito più variazioni, che hanno zampe o muso corti – dal bassotto al carlino –, sopravvivere senza l’uomo sarebbe impossibile. Idem i giganti come l’alano: non sono funzionali per una caccia autonoma. I nordici invece potrebbero farcela.
Più che digestivo, è un problema quindi di approvvigionamento?
Esatto. Possono mangiare lo stesso cibo dei lupi, ma il problema è che per procurarselo devono: scovare, inseguire e uccidere la preda, dissezionarla e consumarla. Molti cani, di fronte a un coniglio morto ma intero, non sanno che farne. Per questo hanno bisogno di noi.
Il nostro ruolo quindi è fondamentale per il benessere dei cani...
Decisamente. Diamo loro da mangiare prodotti processati in maniera industriale. Prendiamo le crocchette: la maggior parte delle vitamine B decade nel tempo della scadenza. Non significa che non bisogna mai darglieli, ma è preferibile un’alimentazione fresca e variegata. Carni, latticini, uova. Anche verdura, frutta e cereali, ma meno, non essendo erbivori. Da evitare invece il maiale crudo (può trasmettere parassitosi) o il cacao amaro (fa male al cuore).
Un’alimentazione scorretta porta anche a patologie, naturalmente.
Sì, determina intolleranze e patologie di vario tipo. Oppure, nei soggetti ansiosi, il problema può essere aggravato, o perfino dovuto, a coliti e scompensi digestivi. L’epigenetica (l’influenza dell’ambiente sui geni, ndr) è un ambito che sta facendo passi da gigante. Alcuni alimenti possono avere influssi positivi (quelli ricchi di antiossidanti) e altri negativi (i fortemente ossidanti). Se ne occupa la nutrigenomica.