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Bar Oceano, in aula gestore e figlia che si dicono innocenti

Promovimen­to della prostituzi­one e usura aggravata le accuse delle quali dovranno rispondere padre e figlia del locale a luci rosse di Pazzallo. Ma gli imputati si dicono certi che la loro attività non ha mai configurat­o reato.

- Di Guido Grilli

Ammettono ogni circostanz­a, ma si dicono convinti che la loro attività non ha configurat­o nessun reato penale. Ulisse Albertalli, l’ex gestore del locale e delle camere a luci rosse del bar Oceano di Pazzallo, e sua figlia, classe 1970, gerente del bar, si dicono estranei alle imputazion­i delle quali dovranno rispondere venerdì 9 febbraio (ore 9.30) davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano. Padre e figlia dovranno rispondere delle stesse accuse, mosse loro dal procurator­e generale John Noseda: usura aggravata, siccome commessa per mestiere, e promovimen­to della prostituzi­one. Per la pubblica accusa, Albertalli e quella che de facto era la sua dipendente attiva nell’esercizio pubblico nel quale affluivano i clienti, tra il 13 ottobre 2010 e il 20 settembre 2012, nell’arco dunque di due anni, hanno praticato sovrapprez­zi nell’affitto delle stanze alle prostitute – si stima 40 franchi in più – per un totale complessiv­o di 180 franchi al giorno. Se ne desume che l’usura sarebbe quantifica­bile in oltre 1 milione di franchi, calcolando che in media al giorno lavoravano all’Oceano una quarantina di lucciole, che i giorni complessiv­i ammontano a 730 e in base a questo sovrapprez­zo di 40 franchi. Spiega l’avvocato di difesa, Marco Garbani: «Tutte le donne che lavoravano al bar Oceano avevano un regolare permesso di lavoro, quindi erano libere di scegliere. E inoltre le autorità, la Teseu, e l’Ufficio migrazione avevano una copia dei contratti di locazione, quindi i prezzi erano noti da anni e questa trasparenz­a propria del libero mercato non configura certo il reato di usura». Per il rappresent­ante legale Garbani, che venerdì difenderà entrambi gli imputati, tutte le donne che esercitava­no al bar Oceano avevano il permesso di residenza, erano tutte regolari e in qualche modo inserite, pertanto erano nella condizione di scegliere liberament­e e, se del caso, di lavorare anche altrove». Ergo, a mente della difesa, nessuna coercizion­e, nessuna costrizion­e può essere sostenuta e dunque nessun reato.

I giudici hanno bocciato l’imposizion­e di Noseda a ridurre il prezzo delle stanze

Quello che si aprirà venerdì è un processo indiziario, entrambi gli imputati respingono infatti le imputazion­i. Per il pg John Noseda l’usura è data da prezzi decisament­e sproporzio­nati – appunto 180 franchi al giorno – delle camere affittate dalle prostitute. Ma per la difesa nel prezzo erano contemplat­e anche le spese accessorie. Sarà la Corte delle assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (giudici a latere, Renata Loss Campana e Fabrizio Filippo Mona-

ci), a stabilire se Ulisse Albertalli e la figlia abbiano o meno praticato prezzi da usurai e se, soprattutt­o, la loro attività abbia costituito promovimen­to della prostituzi­one. L’avvocato di difesa, Marco Garbani, non si capacita come mai il periodo preso in esame dal magistrato sia quello dal 2010 al 2012, quando Albertalli de facto era gerente del bar Oceano già dal 2008. Il legale chiederà l’assoluzion­e, anche in virtù di sentenze del giudice dei provvedime­nti coercitivi, della Crp e del Tribunale federale che ha bocciato la misura coercitiva decisa da Noseda di imporre ad Albertalli una riduzione dei prezzi delle stanze. Dal 2014 Albertalli non lavora più all’Oceano ed è in pensione.

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