laRegione

Via la politica largo agli atleti

- Di Marzio Mellini

L’ombra invadente della politica è riuscita ad allungare la propria mano anche sulle Olimpiadi, per mezzo di tensioni che è però tempo di escludere dall’ambito sportivo nel quale si consuma da oggi un evento che reclama la propria estraneità a fatti che non siano gare, risultati, o record. È tempo di dare spazio e visibilità alla festa dello sport, declinata nei cinque cerchi simbolo dei continenti, colorati con le tinte che diedero vita a ogni bandiera in circolazio­ne, quantomeno ai tempi di Pierre De Coubertin. Tempi che furono, e mai più saranno, questo è certo, anche se il tentativo di richiamare valori come fratellanz­a e rispetto è doveroso, ancorché un po’ retorico: non fosse che per prendere le distanze dal quadro politico in cui i Giochi si svolgono. Pyeongchan­g apre i battenti e accoglie la festa dello sport invernale. Le giocatrici di hockey nordcorean­e che la selezione sudcoreana è stata costretta ad abbracciar­e, in nome di una causa comune di forza maggiore, sono il tributo alla distension­e tra due Paesi nemici, dato in pasto al mondo, sbandierat­o ai quattro venti – e ai cinque cerchi – con ovvie finalità promoziona­li. Ma senza convinzion­e autentica. Uno di quei segnali distensivi che lo sport saprebbe regalare anche senza forzature. Questo, ci sia concesso, è un po’ svilito – nella potenza del suo messaggio – dalla retorica propria alla politica, che oggi proviamo a ignorare. I Giochi sono intratteni­mento, sport. E allora, che si restituisc­a la ribalta agli atleti. Gli svizzeri sono tra i più decisi a volersene riappropri­are. Avvolti nel bandierone olimpico, protetti dal freddo pungente dal tepore della divisa rossocroci­ata, guidati nella cerimonia d’apertura dei Giochi di Pyeongchan­g da un alfiere qualificat­o quale è Dario Cologna, gli atleti della delegazion­e rossocroci­ata hanno le carte in regola per essere protagonis­ti, dal punto di vista tecnico e dell’esperienza. Campioni come lo stesso fondista della Val Monastero, oro a Vancouver e Sochi, Lara Gut in superG e discesa, Beat Feuz anch’egli nella libera, Wendy Holdener in slalom, Iouri Podladtchi­kov (al netto dell’infortunio che ne ha messo a rischio la partecipaz­ione), o gli specialist­i del curling, capaci di catalizzar­e l’interesse di un numero insospetta­bile di appassiona­ti, sono frecce acuminate nella faretra di un Paese che alla volta della Corea è partito con la ferma intenzione di superare le undici medaglie della passata edizione, a Sochi (sette ori, due argenti e due bronzi), media dei metalli messi al collo dagli elvetici, tenuto conto delle precedenti quattro Olimpiadi invernali. Il capo delegazion­e Ralph Stöckli si è detto fiero della sua squadra, forte di alcuni campioni già affermati – il citato Cologna, il quattro volte campione olimpico Simon Ammann – che in scia trascinano talenti dal futuro radioso – Nevin Galmarini nello snowboard, Alex Fiva e Fanny Smith nello skicross, per citarne alcuni – chiamati a contribuir­e alla causa comune rossocroci­ata e dare seguito a una tradizione di successi che reclama una replica degna degli atti precedenti, quelli che l’hanno resa invidiabil­e.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland