Finalmente, cinque giorni di libertà
Le gabbie metalliche riempiono i vuoti della stazione cittadina, arginano il flusso dei pellegrini in maschera. Le panchine messe al sicuro nei loro profilattici lignei. Lungo il viale la statua di Ivo Soldini imbacuccata in tutta la sua imponente, straniante obliquità; una bandana colorata preserva il suo metafisico accordo con l’ambiente circostante. In piazza l’agenzia di esotica salvezza ha messo al sicuro i sogni di viaggio in vetrina con un investimento in pannelli di compensato degno di un Midwest in attesa del ciclone. La Collegiata silenziosa si appresta a chiudere le sue porte. Fra i portici gli ingressi più fragili sbarrati con solerte im- piego di assi e chiodi. Ecco, il perimetro della vecchia città meticolosamente, metallicamente protetto da ogni goliardico tentativo d’imboscata, o di fuga. Il sovrano diritto alla festa 60 franchi cadauno è salvo, la macchina della sicurezza pronta a respingere intrusi, raddrizzare ubriachi, sedare l’atavico istinto per il rituale corpo a corpo in maschera. I giorni dell’evasione ritornano puntuali con la loro promessa di libertà, di risarcimento da ogni quotidiana ingiustizia, garantiti dall’abbondanza di fusti di birra e da un cordone di reti a incastro 4x2 metri. Su la maschera, fuori il portafoglio. Finalmente, Carnevale.