Pluralità delle opinioni
Siamo sinceri: di destra, di sinistra o di centro, dalla radiotelevisione pubblica – che paghiamo – ci aspettiamo che confermi la nostra visione del mondo. E quando ciò non avviene tendiamo ad accusare la Rsi di faziosità o disinformazione, qualcuno arrivando perfino a sostenere l’iniziativa che vuole abolire il servizio pubblico. Lungi da me fare la ramanzina: mi ci metto naturalmente anch’io, tra i primi a innervosirmi quando non trovo corretto un resoconto sull’attività del Gran Consiglio. Se però prendiamo un po’ di distanza emotiva, ci accorgiamo che in realtà le critiche (...)
Segue dalla Prima (...) piovono da tutte le aree di pensiero. Strano ma vero. Me ne ero già reso conto durante le ricerche per la mia tesi di laurea, poi pubblicata dall’editore L’Ulivo (“Reporter – La storia dell’informazione alla Tsi”, 2011). Da sempre e da tutte le parti con, è vero, un certo spostamento del baricentro: nella prima metà del Novecento la critica alla radio viene soprattutto da sinistra, mentre con la Guerra fredda e l’avvento della Tv la critica proviene maggiormente da destra. Particolarmente calda, alcuni ricorderanno, la metà degli anni Settanta: da sinistra si criticano i legami con i partiti al potere, la spettacolarizzazione dell’informazione indirizzata all’emozione facile, al “folclore nostraneggiante” e al disimpegno culturale; da destra, invece, si contestano il conformismo progressista, il troppo spazio dato a visioni critiche o a tabù come la sessualità e un costante anticlericalismo. Tanto che, nel 1977, in giro per Lugano sono disseminati televisori dipinti di rosso con la scritta “La Tsi è rossa”. Nella mia ricerca ho anche cercato di spiegare questa pioggia di critiche: dalla “percezione selettiva” – in soldoni si sente ciò che si vuol sentire – alla specificità dei media audiovisivi (ascolto distratto, volatilità, difficoltà tecniche), passando per un pubblico non sempre abituato e predisposto – era il tempo dei giornali di partito – a dei media pubblici che devono riflettere “la pluralità di atteggiamenti e di opinioni”. E proprio quest’ultimo aspetto deve fare riflettere, in particolare noi ticinesi. Non solo perché come minoranza di cultura e lingua italiana il sistema attuale ci garantisce di avere una voce (per nulla scontata) in Svizzera, non solo perché il servizio pubblico ci permette di ricorrere a un’autorità indipendente di ricorso che potrà se del caso darci ragione, ma soprattutto perché nel tempo delle “fake news” create ad arte per guadagnare o influenzare, degli algoritmi che ci portano a leggere solo le notizie più vicine alla nostra area di pensiero e dei social network in cui i fatti sono sempre più commenti, la società ha più che mai bisogno di un’informazione diversificata, seria, approfondita, contestualizzata e il più possibile sopra le parti.
*Granconsigliere e vicepresidente Plr