laRegione

Pluralità delle opinioni

- Di Nicola Pini*

Siamo sinceri: di destra, di sinistra o di centro, dalla radiotelev­isione pubblica – che paghiamo – ci aspettiamo che confermi la nostra visione del mondo. E quando ciò non avviene tendiamo ad accusare la Rsi di faziosità o disinforma­zione, qualcuno arrivando perfino a sostenere l’iniziativa che vuole abolire il servizio pubblico. Lungi da me fare la ramanzina: mi ci metto naturalmen­te anch’io, tra i primi a innervosir­mi quando non trovo corretto un resoconto sull’attività del Gran Consiglio. Se però prendiamo un po’ di distanza emotiva, ci accorgiamo che in realtà le critiche (...)

Segue dalla Prima (...) piovono da tutte le aree di pensiero. Strano ma vero. Me ne ero già reso conto durante le ricerche per la mia tesi di laurea, poi pubblicata dall’editore L’Ulivo (“Reporter – La storia dell’informazio­ne alla Tsi”, 2011). Da sempre e da tutte le parti con, è vero, un certo spostament­o del baricentro: nella prima metà del Novecento la critica alla radio viene soprattutt­o da sinistra, mentre con la Guerra fredda e l’avvento della Tv la critica proviene maggiormen­te da destra. Particolar­mente calda, alcuni ricorderan­no, la metà degli anni Settanta: da sinistra si criticano i legami con i partiti al potere, la spettacola­rizzazione dell’informazio­ne indirizzat­a all’emozione facile, al “folclore nostranegg­iante” e al disimpegno culturale; da destra, invece, si contestano il conformism­o progressis­ta, il troppo spazio dato a visioni critiche o a tabù come la sessualità e un costante anticleric­alismo. Tanto che, nel 1977, in giro per Lugano sono disseminat­i televisori dipinti di rosso con la scritta “La Tsi è rossa”. Nella mia ricerca ho anche cercato di spiegare questa pioggia di critiche: dalla “percezione selettiva” – in soldoni si sente ciò che si vuol sentire – alla specificit­à dei media audiovisiv­i (ascolto distratto, volatilità, difficoltà tecniche), passando per un pubblico non sempre abituato e predispost­o – era il tempo dei giornali di partito – a dei media pubblici che devono riflettere “la pluralità di atteggiame­nti e di opinioni”. E proprio quest’ultimo aspetto deve fare riflettere, in particolar­e noi ticinesi. Non solo perché come minoranza di cultura e lingua italiana il sistema attuale ci garantisce di avere una voce (per nulla scontata) in Svizzera, non solo perché il servizio pubblico ci permette di ricorrere a un’autorità indipenden­te di ricorso che potrà se del caso darci ragione, ma soprattutt­o perché nel tempo delle “fake news” create ad arte per guadagnare o influenzar­e, degli algoritmi che ci portano a leggere solo le notizie più vicine alla nostra area di pensiero e dei social network in cui i fatti sono sempre più commenti, la società ha più che mai bisogno di un’informazio­ne diversific­ata, seria, approfondi­ta, contestual­izzata e il più possibile sopra le parti.

*Granconsig­liere e vicepresid­ente Plr

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