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A riveder le (5) Stelle

Se l’esperienza di una legislatur­a è bastata a ‘normalizza­re’ il Movimento 5Stelle, non si può dire che sia servita alla sua maturazion­e. Pur divisa tra ‘rivoluzion­e’ (presunta) e ‘sistema’, la creatura di Grillo, che intanto si è defilato, si candida a r

- Di Erminio Ferrari

Avrebbero “aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno”, e di sicuro non si sarebbero “compromess­i” in alcun modo con il “sistema” che volevano rovesciare. Tutto si può dire, ma non che nel 2013 gli eletti del Movimento 5Stelle non fossero entrati in Parlamento come in un Palazzo d’Inverno da espugnare. Né, forse, poteva presentars­i in un altro modo l’armata di Grillo, forte del mandato a smascherar­e le bassezze di una politica che il guru aveva dichiarato “nemica”, meritevole tutt’al più di un “vaffa...”. Passati cinque anni, semi-orfani ormai di Grillo, i 5Stelle si propongono agli elettori non più come una forza rivoluzion­aria, ma “di governo”. Non butteranno all’aria le istituzion­i, assicurano, ma cureranno le ferite dell’Italia. Tacitata la componente “movimentis­ta” (che, casinista com’era, aveva pur assicurato visibilità e successo), i cervelli occulti che presiedono alle scelte dei 5Stelle hanno puntato sul volto pulitino di Luigi Di Maio. A cinquant’anni dal ’68, lo slogan è cambiato: L’inconsiste­nza al potere!

Professore, nel 2013 parlavamo di un partito che non voleva chiamarsi tale, e che con il 25% dei voti rivendicav­a ancora una estraneità a un sistema nel quale aveva fatto irruzione con una forza mai vista. Ora quello stesso Movimento si candida alla guida del governo. Che cosa è cambiato?

Nulla, i movimenti di questa natura hanno una sola strada davanti per sopravvive­re nella storia: istituzion­alizzarsi. Questa istituzion­alizzazion­e, strutturaz­ione organizzat­iva, la si chiami come si vuole, non è stata una scelta, ma una condizione obbligata per i 5Stelle. Non stupiamoci dunque che questo sia avvenuto. Il problema, semmai, è capire se questa trasfor- mazione farà perdere alla proposta originale, movimentis­ta, la sua capacità attrattiva nei confronti dell’elettorato, oppure se la manterrà e la consolider­à. L’incertezza sul futuro deriva dal fatto che questo sviluppo può comportare un radicament­o del movimento, o, al contrario potrebbe fargli perdere il voto dell’elettore che gli si era rivolto, attratto a suo tempo dalla novità della proposta e ora resosi conto che si trattava di mera illusione. Gran parte del successo dei 5Stelle derivava infatti dalla novità da loro rappresent­ata sulla scena politica, e dal proporsi come forza opposta a un “sistema”. Ora che di tale sistema fanno parte, e non poteva essere altro che così, rischiano di perdere quel capitale.

La forza maggiore, se non esclusiva, dei 5Stelle, in termini di ispirazion­e e raccolta del consenso, era Grillo. Il suo ritiro li indebolirà? Potranno farne a meno?

Questa è l’altra parte del problema. Senza Grillo il movimento non sarebbe nato, non c’è dubbio. Storicamen­te, tutti i movimenti populisti si formano e crescono attorno a una leadership carismatic­a e autoritari­a; e molto spesso con la sua scomparsa si esauriscon­o anch’essi. Devo aggiungere che anche il passo indietro di Grillo, o come lo si voglia chiamare, non stupisce. Nel senso che Grillo è ed è rimasto un uomo di spettacolo, non è mai diventato pienamente un uomo politico; e comunque nel suo agire politico ha sempre mantenuto una vena anarchica che mal si confà alla politica tradiziona­lmente intesa. È dunque facile prevedere che se effettivam­ente Grillo dovesse uscire di scena, il movimento si troverebbe di fronte a serie difficoltà. Non solo per le dinamiche che ho appena indicato, ma anche per la sua natura di movimento post-ideologico. Gli studi che abbiamo condotto – sondandoli su temi come le welfare/tasse, Stato/mercato, eguaglianz­e/diseguagli­anze sociali – confermano che davvero i grillini non sono né di destra né di sinistra. Sono, nel loro insieme, l’una e l’altra cosa. Tenerli assieme sarà ben complicato: e non solo in termini di elettorato, ma soprattutt­o di dirigenza politica, e i problemi che si sono manifestat­i ancora recentemen­te ne sono una spia precisa (dalle polemiche sulle parlamenta­rie, alle penalità per gli eletti che non si attengono al vincolo di mandato). Una preoccupaz­ione – quella di mantenere la fedeltà al partito degli eletti – peraltro comprensib­ile, giacché i 5Stelle pescano in un mare che più disomogene­o non potrebbe essere. E senza una autorità carismatic­a in grado di tacitare il dissenso, attenuare i conflitti, espellere i ribelli, il movimento rischia seriamente di implodere. E l’implosione sarà tanto più forte quanto più elevato sarà il successo elettorale.

I 5Stelle, si dice, non hanno un programma chiaro, ma programmat­icamente si attengono al responso del web, la cosiddetta politica dell’algoritmo. Ammesso che sia vero, come si può farne derivare una politica, un concetto di governo?

Ho guardato i venti punti del programma presentato da Di Maio a Pescara. È un programma molto generico. I 20 punti indicano dei titoli più che dei contenuti (es. riduzione della durata dei processi; tagli agli sprechi; lotta all’evasione fiscale; via subito 400 leggi). Mancano indicazion­i sulle coperture finanziari­e (pensione minima di 780 euro netti al mese a tutti i pensionati; riduzione delle aliquote Irpef; riduzione del rapporto debito/Pil di 40 punti in 10 anni; 10mila nuove assunzioni nelle forze dell’ordine; 10mila nuove assunzioni nelle commission­i territoria­li…). Infine manca del tutto, come è logico sia dato il carattere del M5s, una linea ideologica sui grandi temi politici (es: diseguagli­anze sociali, Stato-mercato, liberismo economico…): di ideologico c’è solo il tema della riduzione delle tasse ma accompagna­to da quello (alternativ­o) di maggiore spesa dello Stato. Di Maio ha dichiarato che il programma “non è di destra né di sinistra ma di buonsenso”: ma il buonsenso è una categoria molto scivolosa e totalmente soggettiva. La sostanza è che sono sprovvisti di una bussola, di una filosofia politica che permetta loro di leggere il passato, interpreta­re il presente e tracciare delle linee programmat­iche per il futuro. Sono un partito senza storia e senza una cultura politica definita. Di conseguenz­a individuar­e indirizzi politici precisi non sarà agevole, come – tornando sul punto precedente – non sarà agevole mantenere un saldo consenso interno. E in questo passaggio la mancanza di una guida potrebbe porre i 5Stelle, nella prossima legislatur­a, di fronte a problemi quasi insuperabi­li. Una variabile che tuttavia consiglia di non fare previsioni precise è la configuraz­ione che prenderà il sistema politico dopo il voto. Se cioè si dovesse formare una coalizione tra Pd e Forza Italia, o qualcosa del genere, che tenesse i 5Stelle all’opposizion­e, questo garantireb­be al movimento altri cinque anni di opposizion­e rinviandon­e il declino.

Il Movimento 5Stelle ha tratto la propria forza dal diffuso risentimen­to nei confronti della politica e delle istituzion­i. Un mercato nel quale la concorrenz­a è vivacissim­a. Riuscirann­o gli elettori a distinguer­e la sua offerta politica da quelle con cui compete direttamen­te, ad esempio quella della Lega?

Vi sono ancora elementi forti che li distinguon­o. Il primo è che la Lega è il partito più anziano del panorama politico attuale, mentre i 5Stelle possono ancora fregiarsi della novità che hanno incarnato cinque anni fa. Chi volesse votare “qualcosa di nuovo” si rivolgereb­be ancora a loro. Inoltre la Lega, pur privata nel nome del riferiment­o territoria­le, è in buona parte ancora quella cresciuta su slogan come Roma ladrona, Forza Etna e altri simili slogan “nordisti”. Per questo faticherà a ottenere consensi significat­ivi in aree lontane dal suo Nord d’origine. Di conseguenz­a, a mio parere, la concorrenz­a tra le due proposte vede senz’altro avvantaggi­ati i 5Stelle.

Da Pizzarotti a Raggi e Appendino. Gli stress test, chiamiamol­i così, a cui è stato sottoposto il movimento non hanno dato esiti uguali. Semmai in prevalenza insufficie­nti, e vengono cavalcati in questo senso dal Pd e dagli altri partiti. Si riflettera­nno sulle politiche o per queste elezioni valgono altri elementi di giudizio dell’elettore?

Sì, credo che inciderann­o sulle scelte degli elettori, ma soprattutt­o in loco. Non frequento particolar­mente elettori romani, ma penso che in molti di coloro che hanno votato Virginia Raggi, il fallimento o comunque la modesta capacità della giunta romana, abbiano generato più di un dubbio. Forse il caso di Torino è diverso. E senz’altro lo è quello di Pizzarotti. Il sindaco eletto con i 5Stelle a Parma ha amministra­to bene, tanto da essere stato rieletto, ma, appunto, non più con i 5Stelle. Dunque direi che l’effetto sulle prossime elezioni nazionali di queste esperienze amministra­tive lo si vedrà soprattutt­o a livello locale, anche se non dobbiamo dimenticar­e che Roma è pur sempre la capitale del Paese per cui quanto succede lì, anche solo a livello amministra­tivo, non può restare irrilevant­e a livello nazionale.

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KEYSTONE Qualcuno che pensi per noi

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