Caso Puerto Azul, legali in banca
Nel raggiro milionario per l’improbabile investimento nei Caraibi, anche diversi clienti ticinesi In aula la vicenda del fantomatico complesso alberghiero sull’atollo Blue Hole. Gli avvocati della difesa chiedono agli istituti di credito il risarcimento p
Chiedono alle banche il risarcimento del danno subìto a seguito della sottoscrizione di quote per la costruzione di “Puerto Azul”, complesso turistico alberghiero extra lusso 8 stelle in grado di accogliere mille ospiti (duemila dipendenti) sull’atollo “Blue Hole” al largo delle coste del Belize (Caraibi). È la novità emersa nell’ultima udienza del processo, in sede di udienza preliminare, a Busto Arsizio, contro Domenico Giannini (gallaratese di nascita, da anni residente a Lugano), Roberto Gianmarco (pure lui residente a Lugano), Claudio Bocchia e Olimpio Aloisi, entrambi pescaresi. “Abbiamo fatto istanza al collegio giudicante per la chiamata in causa delle banche Fideuram e Credem (Credito Emiliano) in quanto tre dei quattro imputati lavoravano per loro” spiega l’avvocato Gianluca Fontana, componente del nutrito collegio di legali che assistono i presunti truffati. Il legale ritiene “le banche responsabili della mancata sorveglianza dell’attività di loro collaboratori”. La chiamata in causa delle due banche si spiega anche perché gli imputati non sono in grado di risarcire il danno, oltre 20 milioni di euro, somma che per l’accusa è stata versata da 200 investitori, abbagliati dal mega progetto, pubblicizzato sfruttando l’immagine di Andrea Bocelli e John Travolta. Un resort con aeroporto internazionale, anfiteatro dedicato al tenore toscano e un autodromo per auto elettriche che avrebbe dovuto portare il nome del pilota Ayrton Senna. Un’ottantina di clienti s’è costituita parte civile. Molti di loro sono ticinesi. Gli altri, per la quasi totalità italiani, se ne stanno in silenzio, non essendo in grado di dimostrare la provenienza lecita dei soldi versati negli uffici in riva al Ceresio della Dgh Sagl di Domenico Giannini, una holding con sedi in Italia, Lussemburgo, Londra e Caraibi. Gli imputati non dispongono di beni per risarcire i danni, in quanto quelli che possedevano, per un valore di 18 milioni di euro, sono stati confiscati dal fisco italiano. Per due volte hanno chiesto di accedere al rito del patteggiamento allargato, ma non potendo mettere sul piatto della bilancia un congruo risarcimento, si sono visti negare il patteggiamento. Intanto, la vicenda giudiziaria continua. I giudici hanno convocato le parti per il proseguimento della fase istruttoria tra meno di una settimana, lunedì 19 febbraio.