Billag sì o Billag no?
L’argomento è complicato perché si mescolano due temi indipendenti. Da un canto vengono coinvolti i valori che stanno alla base del nostro Stato e che si possono sintetizzare nel “tutti per uno”: la solidarietà, quindi la sussidiarietà, il rispetto per le minoranze, tutto ciò che fa della Svizzera un unicum, che permette la convivenza pacifica di realtà tanto diverse (per lingua, religione, cultura) e che solo una volontà comune può rendere possibile, con quella componente emotiva che fa da collante quando poi il piccolo, orgoglioso della sua indipendenza, è confrontato col grande (v. Ue). Un tema di peso fatto anche di simboli (di cui il media di Stato fa parte, fosse solo per il ruolo di voce libera avuto in periodi bui) che tocca il nostro Dna. L’altro tema è quello che riguarda la libertà di espressione che coinvolge in prima persona ed assume un’importanza cruciale per il giornalista: quello della sua relazione con il potere, nel nostro caso quello con l’autorità politica (quindi non un editore qualsiasi) che è il suo datore di lavoro. Un tema delicato e non di poco conto, evidenziato nelle discussioni sulla votazione da chi è a favore della No Billag: cosa comporta il connubio politica (i partiti) media (radio/tv)? Detto altrimenti: quanto contano clientelismo (posto di lavoro che vuol dire voto e viceversa) e nepotismo, nel XXI secolo, rispetto a merito e capacità? Se quello che dovrebbe essere il cane da guardia della democrazia sonnecchia (è l’autocensura) per timore del Berufsverbot, se quello che dovrebbe essere il fustigatore del potere ne diventa il servo, si allunga la fila di chi si disaffeziona alla politica, un brutto segno per la democrazia, perché prima o poi è la politica ad occuparsi di noi. Altro tema di peso.
Bernardino Damonti, Bellinzona