Dal giornale dei medici britannici sì al suicidio assistito
Londra – “La stragrande maggioranza dei cittadini britannici è a favore, e ora ci sono prove che funzioni bene in altre parti del mondo”. Il British Medical Journal, una fra le più importanti e autorevoli riviste scientifiche nel mondo, rompe il tabù: la morte assistita, ha scritto la direttrice Fiona Godlee, va accolta e legalizzata. Nel numero appena uscito, il periodico pubblica una serie di articoli sul tema, tra cui il racconto di una dottoressa che in dieci anni ha già aiutato cinque persone a morire, e quello di una paziente malata di cancro terminale. Una presa di posizione opposta a quella della British Medical Association (di cui il Bmj è rivista ufficiale) che in passato si era già espressa negativamente sulla fornitura, da parte del medico, di farmaci letali a un paziente con una malattia terminale, che ne abbia fatta consapevole richiesta. Secondo un sondaggio condotto su 733 medici britannici, tuttavia, oltre la metà ritiene che la morte assistita dovrebbe essere legalizzata in determinate circostanze. Un parere condiviso, secondo un sondaggio del 2015 anche dall’82% dei cittadini del regno. I dati sono contenuti in un articolo di Jacky Davis, radiologa e a capo del Healthcare Professionals for Assisted Dying, secondo la quale l’attuale disconnessione tra la politica dell’Associazione e le opinioni di medici e pazienti mina la credibilità dell’associazione stessa”. Parole chiare, che accompagnano una serie di articoli quasi tutti a favore della morte assistita ma che non nascondono quanto sia difficile per i medici aiutare i pazienti in questa scelta. Lo racconta Sabine Netters, una dottoressa olandese che dieci anni fa aveva raccontato la sua prima esperienza con un paziente che le aveva chiesto di aiutarlo a morire. Il suo articolo comincia così: “Sono le sei di un lunedì sera e nelle prossime due ore aiuterò qualcuno ad uccidersi”. Un’esperienza, aggiunge, dalla quale ha compreso che “anche quando le terapie falliscono il ruolo del medico non è finito ma cambia. L’obiettivo non è più allungare la vita ma aiutare a morire meglio". I libri di testo però, conclude Netters, “non danno alcun consiglio in merito e anni di tirocinio mi hanno lasciato impreparata”. Tra le testimonianze, anche quella di una paziente malata oncologica di 51 anni. “Sono terrorizzata dal tipo di morte che potrei dover affrontare – spiega Sarah Jessiman. – Non voglio andare in Svizzera né tentare il suicidio”. Dalle pagine del Bmj, arriva quindi un appello ai medici perché adottino “quantomeno una posizione neutrale per permettere un dibattito pubblico aperto e informato”.