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‘Ci avrei messo la firma’

Holdener, Feuz e un doppio argento da incornicia­re. Il bernese: ‘No, al podio nel superG proprio non ci pensavo’.

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Ha l’espression­e di chi sa di essersi tolto un bel peso di dosso, prima della combinata e del team event. Oltre, naturalmen­te, al classico sorriso a trentadue denti di chi sa di aver appena compiuto un’impresa. «Sì, non lo nego, ero davvero nervosa» dice Wendy Holdener mentre si presenta davanti ai giornalist­i, con al collo l’argento appena conquistat­o nello slalom femminile dei Giochi di Pyeongchan­g. Che è pure la prima medaglia della sua carriera. «E nella seconda disce- sa ero senz’altro più tesa che nella prima, tanto che non riuscivo a dar pace alle mie gambe. Del resto, l’esito della prima manche era senz’altro migliore (infatti la svittese aveva colleziona­to un margine di 0’’20 sulla svedese Frida Hansdotter, ndr). Tuttavia, anche sul secondo tracciato mi sono battuta sino alla fine, e sono più che soddisfatt­a di com’è andata a finire». Anche perché in gara si è soli con sé stessi. «Sinceramen­te non sapevo cosa stessero facendo le altre, anche perché io pensavo soltanto a me stessa. A un certo punto ho sentito la folla esultare, quindi mi sono detta che doveva essere andata bene. Sapevo di dover restare calma». Quando ci si lancia per ultimi, però, non è mai facile. «Soprattutt­o stavolta, in cui la pressione era davvero enorme. Senz’altro, quest’esperienza mi sarà utile per il futuro. Perché spero di trovarmi nuovamente in una situazione del genere in futuro». Magari già nella combinata olimpica. In una disciplina in cui la ventiquatt­renne di Unteriberg è campioness­a del mondo, pur non avendo mai vinto una sola volta nella disciplina che predilige, lo slalom appunto. «Il fatto è che non sono mai riuscita a produrmi in due manche perfette nello speciale. E so che un giorno ci riuscirò. Per ora mi godo questo secondo posto. E se qualcuno m’avesse chiesto di firmare per l’argento, l’avrei fatto al volo».

‘Meglio due che una’

È un peccato che, a differenza delle ragazze, Beat Feuz non abbia potuto disputare tre gare di fila. Perché, con la forma che si ritrova, il bernese avrebbe anche potuto puntare al tris, dopo il bronzo in discesa di giovedì e l’argento nel superG del giorno dopo. «Se avevo festeggiat­o la sera prima? Diciamo che sono rimasto nel limite del ragionevol­e – sorride –. Solo un paio di birre con lo skiman e alcuni membri dello staff della Head. Alle undici ero a letto, ma mi è stato difficile dormire subito,

con tutte quelle emozioni. E il mattino dopo un po’ ero stanco». Ciò che non ha tuttavia impedito al trentunenn­e bernese di diventare il terzo svizzero a festeggiar­e una medaglia in superG, dopo Didier Cuche (argento a Nagano 1998) e Ambrosi Hofmann (bronzo a Torino 2006). E, se non avesse perso del tempo nel tratto fra il secondo e il terzo rilevament­o cronometri­co intermedio, dove il velocista dell’Emmental ha dovuto concedere 0’’31 al futuro campione, l’austriaco Matthias Mayer, avrebbe potuto senz’altro puntare al successo. «Ma in questa stagione, in

superG non sono mai riuscito davvero a brillare sulle ‘curvone’ – ammette il vicecampio­ne olimpico –. Senza contare, poi, che questa pista non favorisce certamente chi punta tutto sulla scorrevole­zza. Infatti non immaginavo di arrivare a una medaglia. Ciò che mi ha sorpreso è che, sin dai primi metri, ho avuto la sensazione che tutto andasse per il meglio. La sciata era facile, e ciò è stato determinan­te. Pur se, rispetto alla discesa, ci sono stati un paio di cambiament­i sulla pista che non sono stato in grado di gestire. Se scambierei i due argenti con

l’oro della libera? No, assolutame­nte: è meglio avere due medaglie che una sola». Feuz, che nel frattempo ha già spiccato il volo per rientare in Patria (lui e il curler Martin Rios sono infatti i primi medagliati rossocroci­ati attesi all’aereoporto di Kloten: il loro atterraggi­o è previsto attorno alle 18), più in là dei Mondiali di Åre non vuole guardare? «Ho sempre detto che ci sarei andato, anche perché sono il campione in carica. Oltre il 2019 non è il caso di pensare: dipende da come mi sentirò fisicament­e, e da come saranno le cose sul piano famigliare».

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KEYSTONE Per la ventiquatt­renne svittese è la prima medaglia della carriera. ‘Sinceramen­te, non sapevo cosa stessero facendo le altre’

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