laRegione

Un fascismo che ha già vinto

- Di Erminio Ferrari

Vincere, non vinceranno. Ma già ora si può dire che l’affermazio­ne in termini storici più significat­iva nelle vicine elezioni italiane l’ha ottenuta l’estrema destra, chiamiamol­a pure fascista. E senza attendere la sera del 4 marzo, gli italiani dovrebbero interrogar­si sulla sua incontrast­ata occupazion­e degli spazi pubblici, fisici e di discorso. La Costituzio­ne che vieta la ricostituz­ione del partito fascista e la sua propaganda non ha più, evidenteme­nte, difensori capaci e autorevoli, o quantomeno interessat­i. Da Casa Pound a Forza Nuova, il risorgente fascismo ha approfitta­to, confondend­ovisi, del chiasso di una propaganda incentrata sulla questione migratoria (la “difesa della razza” evocata dal leghista Fontana), per produrre una rottura inedita nella continuità storica della repubblica. Una rottura non colta nella sua portata da buona parte dell’informazio­ne, e certamente minimizzat­a, “coperta”, da una destra che conta di trarne un qualche vantaggio. L’obiezione più frequente a questa osservazio­ne va in due direzioni. La prima è che il fascismo è morto e sepolto, ed evocarne il ritorno è una falsificaz­ione storica o un escamotage retorico per distrarre da altre emergenze. La seconda vuole infatti che il problema in Italia non sia il ritorno del fascismo, ma il lavoro, l’immigrazio­ne, la crescita. Argomenti la cui fondatezza è tanto ingannevol­e quanto più plausibili possono apparire. Il secondo, in particolar­e, facendo risalire la fortuna dell’estrema destra alla gravità della crisi economica e sociale, confonde grossolana­mente sociologia ed esiti politici dei processi. La prima obiezione è quella più problemati­ca, rivelatric­e di una falsa coscienza mai davvero risolta. L’intero dopoguerra italiano è stato percorso da un sotterrane­o flusso di revanscism­o fascista, tragicamen­te manifestat­osi con stragi e progettati colpi di Stato, sempre però bandito dallo spazio pubblico (complicità di militari e ministri a parte). La novità di oggi, se tale la vogliamo considerar­e, è allora la capacità del nuovo fascismo di imporsi come voce attendibil­e e con diritto di cittadinan­za in uno spettro politico quanto mai variegato (e appellando­si alla libertà d’espression­e, quando si voglia limitarne le piazzate). Una novità che però non nasce dal nulla, ma è figlia, da un lato, dell’abbassamen­to della guardia seguito alla “svolta” di Gianfranco Fini, che credette di liberarsi dell’eredità fascista con un cambio di nome; e, dall’altro, da oltre vent’anni di pedagogia mediatica mirata a plasmare un’opinione pubblica per la quale la cura dei propri mali non può che passare attraverso l’individuaz­ione di un nemico. Alla quale si associa la pluridecen­nale fortuna dell’impresa di revisionis­mo storico che ha impegnato pubblicist­i e politici di varia caratura. Berlusconi (che portò l’ex repubblich­ino Tremaglia al governo), le sue tv e i suoi giornali in testa, hanno preparato il terreno su cui anche le sigle, i figuri, i movimenti più impresenta­bili hanno potuto riprenders­i uno spazio, in altri tempi impensabil­e, fino a trovare posto sulle schede elettorali, in “concorrenz­a gregaria” con le liste affini, da Meloni a Salvini. Il guaio è ormai fatto. Il fascio-leghista che ha sparato a Macerata contro un gruppo di africani è sì in prigione, ma molti di coloro che gli hanno espresso solidariet­à finiranno in parlamento. E anche molti di coloro che si sono tenuti al coperto potrebbero venire premiati: quella Roberta Lombardi, ad esempio, candidata alla presidenza della Regione Lazio per i 5Stelle. La quale ha concesso che il suo riferiment­o è la Costituzio­ne, “ma Mussolini diede le pensioni agli italiani…”.

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