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Il fiasco di Fischer Fuori agli ottavi, come 4 anni fa

Fuori agli ottavi, come a Sochi, stavolta ad opera dei tedeschi. Ma, in verità, la Svizzera di Fischer fa tutto da sola.

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Quel disco maledetto, che incoccia sul gambale di Hiller, mentre Untersande­r e Blum sono da un’altra parte, e al povero Moser tocca fare il difensore, lui che difensore non è. Mentre il tedesco Seidenberg s’inventa attaccante – lui che attaccante non è – e al ventiseies­imo secondo di un supplement­are che è appena nato mette dentro il disco che crocifigge la Nazionale di Fischer. Che, arrivata Pyeongchan­g stuzzicata dall’idea di finire per una volta addirittur­a sul podio, vista l’assenza degli Dei dell’hockey, rimasti confinati in Nordameric­a, fa le valigie ancor prima cominciare a pregustare sul serio la possibilit­à di arrivare infine da qualche parte, salutando la Corea ancor prima dei quarti. Esattament­e come quattro anni prima a Sochi. Dove, però, le stelle Nhl c’erano. Tutte quante. E se la Svizzera – e non è la prima volta – resta con l’urlo strozzato in gola, la colpa non è certo del povero Yannic Seidenberg, fratello del ben più noto Dennis che gioca in America nei New York Islanders. Lui è l’esecutore materiale di un suicidio per procura, i cui mandanti sono i rossocroci­ati stessi. Che, con poche eccezioni, non riescono mai a dimostrare di meritarlo, quel biglietto per i quarti di finale. Né dal punto di vista del gioco, né su quello delle emozioni. Anzi. Semmai, l’impression­e è proprio che la Svizzera il confronto lo perde sul piano emotivo. Mentre su quello fisico, almeno a giudicare dal primo cambio, l’impegno è totale. Pure troppo, siccome passano appena

nove (nove!) secondi e Cody Almond e già di ritorno negli spogliatoi, dopo aver letteralme­nte travolto Erhoff, raggiunto in testa da una gomitata. Ed è proprio sfruttando quella fulminea penalità di partita che i tedeschi costruisco­no il loro vantaggio, costringen­do a un lungo inseguimen­to una Svizzera sterile, che il più delle volte è costretta a girare al largo dallo slot, anche perché i duelli che contano (compresi

quelli agli ingaggio) finiscono quasi sempre col premiare agli avversari. Dei tre tempi con i germanici, il migliore per gli uomini di Fischer è il secondo, quando finalmente riescono a mettere i loro avversari davvero sotto pressione. E non è un caso se il pareggio (di Moser, ancora lui) arriva proprio in quel momento. Per il resto, è come se i rossocroci­ati andassero a ruota, reagendo solo a stimoli esterni. Purtroppo

per loro, però, nell’overtime non c’è spazio per le reazioni. Infatti, a quel punto quel che fatto, è fatto.

Hiller saluta e se ne va

L’annuncio ufficiale arriva nel post partita: Jonas Hiller (che, con una percentual­e di riuscita del 95,60%, in Corea è secondo soltanto al collega svedese Viktor Fasth) annuncia che quella con la Germania è stata la sua ultima esibizione in rossocroci­ato. L’appenzelle­se, 96 volte nazionale, mette fine a una carriera internazio­nale iniziata nel febbraio del 2005, a Huttwil, quando ricoprì il ruolo di riserva in un’amichevole con l’Ucraina. «In verità avevo deciso già prima di partire – dice il 36enne portiere del Bienne, che in carriera vanta oltre 400 partite in Nhl –. Credo sia il momento di lasciare spazio ai giovani».

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KEYSTONE Il gol che condanna gli elvetici al 26esimo secondo del supplement­are

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