Scagionato, ma criticato
Rimborsi al governo, il pg non ravvisa reati penali e abbandona il caso Non sono però state risparmiate ‘bacchettate’ al Consiglio di Stato
Sergi auspica, nel caso sia davvero così, che ‘venga fatta chiarezza e che il Consiglio di Stato riconosca le responsabilità politiche’
Il caso sollevato dal Movimento per il socialismo (Mps) sui rimborsi e le regalie ai consiglieri di Stato si avvia, almeno per quanto riguarda la parte penale, alla conclusione. Il 14 febbraio, infatti, il procuratore generale John Noseda ha firmato un decreto d’abbandono per il reato di abuso d’autorità, un procedimento innescato dalla denuncia del deputato dell’Mps Matteo Pronzini. Nell’ambito dell’indagine Noseda, nei giorni scorsi, ha anche convocato il presidente del Consiglio di Stato, Manuele Bertoli, per chiedere alcuni chiarimenti relativi all’incarto inviato da Pronzini. Ma se, per quanto concerne il penale, dalla Procura non sono stati ravvisati gli estremi per procedere, la questione politica è ancora aperta. Sì, perché pur avendo abbandonato il procedimento contro ignoti, il procuratore generale nel suo decreto è stato duro nei confronti del governo. Nove pagine dense, nelle quali non vengono risparmiate critiche. E proprio su queste nove pagine discuterà, domani mattina, l’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio, il quale dovrà decidere come comportarsi davanti a questo decreto. La discussione verrà affrontata dal plenum nel pomeriggio. Quello che Giuseppe Sergi, coordinatore dell’Mps, raggiunto dalla ‘Regione’ auspica, pur basandosi su indiscrezioni e non disponendo del decreto, è che «il Consiglio di Stato riconosca perlomeno delle responsabilità politiche per la situazione ancora oggi presente, e che soprattutto la discussione venga riaperta. Ci sono delle questioni ancora da chiarire in merito ai rimborsi spese, e noi ci aspettiamo che il tema venga affrontato una volta per tutte». Non sono state risparmiate critiche al Consiglio di Stato in questo decreto d’abbandono, si diceva, e sono critiche che per Sergi «confermerebbero le nostre tesi. Se, perlomeno da quanto filtra, è confermato che il governo viene bacchettato dal procuratore generale è possibile che le accuse di carattere amministrativo siano rimaste in piedi, che abbiano una base di fondamento. Inoltre – continua il coordinatore dell’Mps – se davvero fosse così sarebbe un riconoscimento, un’attestazione alla richiesta di risarcimento inoltrata da Pronzini». E poi, va da sé, c’è la questione politica. Aperta, anzi, apertissima. «In questo cantone, non più tardi di qualche mese fa, è scoppiata una vicenda in cui una funzionaria dipartimentale è stata invitata a cena a Bormio con il suo compagno, e le è stata regalata una cena da 150 franchi. È stato detto che la faccenda non aveva alcuna rilevanza penale, ed è vero. Ma tutti hanno detto che la rilevanza politica c’è, eccome se c’è». E con la storia delle indennità dei consiglieri di Stato la questione per Sergi è la stessa, ed è, appunto, politica. «Matteo Pronzini, nel suo esposto al procuratore generale, non aveva lanciato accuse di carattere penale, si era limitato a segnalare quelle che secondo lui erano delle gravi infrazioni compiute dal Consiglio di Stato nel corso di diversi anni». La vicenda, lo ricordiamo, concerne i rimborsi e le regalie a Consiglio di Stato e cancelliere. A sostegno della tesi che queste indennità siano illegali, l’Mps il primo febbraio, in conferenza stampa, ha affermato come dopo l’altolà del Controllo cantonale delle finanze, che
nel 2010 segnalò al governo come dal 1999 il loro modo di agire «non fosse stato conforme alla legge», la risposta è stata «una toppa peggiore del buco». Due note a protocollo: una «nera e una bianca». Se nella prima sono stati iscritti i rimborsi coperti da base legale, che devono essere approvati dall’Ufficio
presidenziale, nell’altra, quella «nera», figurano i rimborsi che secondo il Movimento per il socialismo sono senza copertura di legge. Spese telefoniche, dono di 10mila franchi esentasse e due mensilità extra alla fine dell’incarico, che si è continuato, quindi, a distribuire «illegalmente».