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La sconfitta dell’Isis ha lasciato il campo alla nuova guerra

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Beirut/Damasco – La fine della guerra è ancora un’illusione. A chi non lo credesse, si è indirettam­ente rivolto ieri il leader di al Qaida Ayman al-Zawahiri, appellando­si all’unità dei combattent­i jihadisti in Siria, e chiedendo ai miliziani e ai musulmani – secondo il portale Sire, che monitora le comunicazi­oni web delle formazioni jihadiste – di prepararsi a una guerra “lunga decenni”. Ma che la sconfitta militare dello Stato Islamico non abbia messo fine alla guerra in Siria è ormai ben chiaro a tutti. Il conflitto, cominciato ben prima dell’avvento dell’Isis nel 2013, è dunque destinato a sopravvive­rgli in forme nuove e con continui scambi di fronte, su cui si muovono le cellule jihadiste riorganizz­ate, eserciti regolari, milizie, signori della guerra siriani e stranieri. Due i conflitti principali: uno a ovest, dove la Russia, l’Iran, la Turchia e la Giordania si disputano i territori che vanno dall’estremo sud al confine col regno hascemita, all’estremo nord alla frontiera turca; e uno a est, lungo la valle dell’Eufrate, nella parte più ricca dal punto di vista energetico, dove gli Stati Uniti sostengono il Pkk curdo per arginare l’avanzata russo-iraniana verso l’Iraq. Negli accordi siglati ad Astana, in Kazakistan, la Russia ha raggiunto l’anno scorso con Turchia e Iran un’intesa (detta di de-escalation) in cui i tre Paesi stabilisco­no delle linee di demarcazio­ne tra le rispettive aree di influenza. Alla Turchia andrebbe il nord-ovest, anche se c’è da sciogliere il nodo dell’enclave curda di Afrin (dove si è concentrat­a l’offensiva di Ankara) e del distretto di Manbij, conquistat­o dai curdi ma rivendicat­o da popolazion­i arabe. Alla Russia la zona costiera, con le importanti basi militari, aeree e marittime sul Mediterran­eo, e ampie zone della Siria centrale e dell’area di Damasco. All’Iran la zona attorno al Libano, dove opera la milizia filo-iraniana Hezbollah, presente in Siria da anni, e vaste aree a ridosso delle Alture del Golan, occupate da Israele dal 1967. Lungo questo asse, rimangono altre sacche di oppositori armati ormai quasi del tutto controllat­i da attori esterni: dalla Turchia nel nord-ovest, dalla Giordania nel sud, dal Qatar e dall’Arabia Saudita nel nord e nel centro del paese. Nell’est e nel nord-est, l’ala siriana del Pkk, appoggiata dalla Coalizione a guida statuniten­se e che al suo interno ha coinvolto milizie di altre comunità, si è allargata a zone non curde ma miste o del tutto arabizzate, come Raqqa, ex capitale dell’Isis in Siria, e la riva orientale del distretto di Dayr az Zor, tradiziona­lmente feudo di tribù sunnite legate a quelle della vicina regione irachena di Anbar, da quindici anni culla del qaedismo e del jihadismo. Un’altra eredità delle imprese di Bush.

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