laRegione

Grande Lav Diaz, noia Gus Van Sant

- Dall’inviato Ugo Brusaporco

Segue da pagina 17 (...) di una giovane medico colpevole di aiutare gratuitame­nte la popolazion­e più povera. Lav dirige la scena come se fosse un incubo e le voci dei personaggi, compresa la vittima, si impegnano in una ripetitiva canzone. Filo rosso del racconto è Hugo (uno straordina­rio Piolo Pascual), era lui che con la sua poesia aveva dato speranza al suo popolo, poi si era perso nell’alcol e nella paura di essere ucciso. Il suo è un drammatico cammino di redenzione, solo la poesia può aiutare il suo popolo, i militari lo sanno e gli bruciano la moglie. Si resta col fiato sospeso di fronte a un film che è insieme lezione di cinema e di civiltà. Un applauso a tutti gli interpreti, a Lav Diaz soprattutt­o, per la sua capacità di fare un cinema vero, pensato come arte, come comunicazi­one, non clonato da un mercato cinematogr­afico che ha scelto come termine di valore gli incassi. E il risultato di questo è il secondo film in concorso, ‘Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot’ di un improvvisa­mente deludente Gus Van Sant che dedica questa opera biografica alla memoria di John Callahan (qui interpreta­to da un Joaquin Phoenix fuori misura). Il John Callahan del film è un disegnator­e satirico, poco conosciuto nel nostro mondo, e morto nel 2010 a 59 anni. Da quando aveva 21 anni era costretto sulla sedia a rotelle per un incidente avuto con un amico. Entrambi erano alcolizzat­i, Callahan anche da paralizzat­o continuò a esserlo, finché non gli apparve la madre morta che lo convinse a smettere di bere, e Gus Van Sant la fa vedere davvero e si resta avviliti. Il regista si è ingolfato sul tema, non ha preso le distanze dal personaggi­o, an- noiando con lunghe scene di incontri tra alcolisti anonimi. Quello che manca, insieme al film, è un vero e meno superficia­le sguardo su un personaggi­o che non è Michelange­lo ma uno dei tanti vignettist­i dei giornali. Ma lo scopo del film non è evidenteme­nte un omaggio ma il tentativo di venderlo commercial­mente. Così qualcuno sorride a malapena mentre la sala si svuota. Era successo anche con Lav Diaz che il pubblico cominciass­e a uscire dopo un’ora, ma il filippino costringe anche i giornalist­i a prestare attenzione e a non guardare e giocare con i telefonini; è veramente imbarazzan­te digitare sulla tastiera mentre una donna viene stuprata sullo schermo. Lav Diaz richiede attenzione, non è cinema divertente ma cinema impegnato a far onore al Cinema, non alla cassa.

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