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Spunti di riflession­i per ‘la scuola che verrà’

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“Ora non io disconosce­rò quale utilità rappresent­i, ad allargare gli orizzonti della mente, il possesso di lingue forestiere. Ma le lingue son sempre più uno strumento di coltura, che non la coltura stessa. E il loro apprendime­nto non dovrebbe andare a scapito dello studio della lingua materna, e di altre materie che son fonte diretta di coltura. Ora ciò che avviene nel Ticino, dove lo strumento diviene lo scopo, dove lo studio del tedesco e del francese (oggi dell’inglese) occupa nei programmi un tal posto, da venirne un gravissimo nocumento alle materie di coltura, che ne son come soffocate… in un paese tanto sollecito a benefici pratici e immediati, e convinto del resto che l’italiano tanto e tanto lo si sa già”. Così si esprimeva il grande glottologo bellinzone­se Carlo Salvioni nel lontano 1914 sulle “Condizioni della coltura italiana nel Cantone Ticino!” Sono passati più di cent’anni da allora, ma le condizioni non sembrano proprio mutate. E più avanti scriveva come “È naturale che la scuola d’un paese che è e si sente svizzero inculchi spirito svizzero. Ma ciò deve farsi senza grettezza di idee, e non rinnegando a ogni piè sospinto la propria impronta etnica, non quasi coltivando di proposito l’avversione a tutto ciò che è italiano, sottacendo i mille legami per cui la vita ticinese, presente e passata, è legata all’Italia e affermando solo quelli per cui se ne va staccata”. Possiamo forse ancora affermare che “La coltura italiana ha dunque nella scuola ticinese piuttosto una nemica che non un’alleata?”. Siamo noi oggi i ‘posteri’ a cui compete “l’ardua sentenza”! Gabriele Alberto Quadri,

Cagiallo Capriasca

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