laRegione

Si ritorna a veder le stelle

- Di Aldo Bertagni

‘Sdoganato’ l’ovvio, pur con qualche perplessit­à giuridica, il Gran Consiglio ieri pomeriggio ha bocciato il progetto dell’Udc che si proponeva come l’applicazio­ne dell’iniziativa popolare ‘Prima i nostri’ accolta dal popolo ticinese. Un’iniziativa generica (ma al contempo dettagliat­a) che chiedeva di dare priorità ai lavoratori residenti. Un piccolo “mostro giuridico”, secondo Manuele Bertoli presidente del governo che aveva suggerito di respingere la proposta democentri­sta, e questo perché contraria al diritto superiore, ovvero federale (sugli stranieri può infatti legiferare solo la Confederaz­ione).

Segue dalla Prima E come ha detto Jacques Ducry, nel suo intervento ieri in aula, la discussion­e – nonché il nostro commento – potrebbe finire qui. Il dibattito su ‘Prima i nostri’, in realtà, ieri ha occupato quasi l’intero pomeriggio parlamenta­re con tanto di “seduta notturna” (intermezzo sui rimborsi spesa del Consiglio di Stato a parte); i microfoni sono stati spenti alle 21.45. Anche perché al di là della discussion­e generale sono seguiti sette atti parlamenta­ri (più due mozioni) prodotti dalla specifica commission­e speciale del Gran Consiglio, quelli appunto contenenti l’ovvietà, e cioè l’indicazion­e sulla priorità ai lavoratori residenti là dove è così da tempo, come nel settore pubblico e parapubbli­co (BancaStato, Ente ospedalier­o, Supsi, Usi, Azienda rifiuti). Con l’ambizione di estendere l’invito alle strutture private finanziate dallo Stato. Sempre, beninteso, che vi sia l’alternativ­a perché in alcuni settori – da anni – la manodopera ticinese scarseggia. Qualche dubbio, come si diceva, è rimasto perché si tratta pur sempre di porre un paletto alla libera circolazio­ne delle persone, ovvero all’accordo siglato fra Svizzera e Unione europea. Ma tant’è. Serve un segnale, ha detto qualcuno ieri in aula, e segnale sia. Decisament­e più importante, invece, il confronto sulla sostanza della materia: priorità tout court, a pari referenze, alla manodopera residente in Svizzera. La maggioranz­a (Plr, Ps, parte del Ppd e dei Verdi) ha detto no, ribadendo il ruolo del diritto superiore. Perché di questo si tratta. La forma vale tanto quanto la sostanza e non si può approvare “una legge che va contro la legge” per dirla sempre con le parole di Bertoli. Tocca alla Confederaz­ione casomai cambiare la realtà dei lavoratori stranieri in Svizzera e toccherà al popolo decidere in un prossimo futuro se proseguire o meno con la libera circolazio­ne delle persone. Poi c’è la sostanza. Come l’ha presentata, sempre ieri, Fiorenzo Dadò presidente del Ppd che ha chiesto e si è chiesto: cosa sta capitando ai nostri cittadini? Detta altrimenti, siamo o no convinti del malessere vivo e presente oggi in Ticino? Domanda più che legittima soprattutt­o per chi fa politica. Azzardiamo una risposta. Il malessere è un dato di fatto ma la vera causa della malattia continua a sfuggire o, magari, non la si racconta tutta. Se oggi una buona fetta della popolazion­e ticinese fatica ad arrivare alla fine del mese è perché i salari percepiti non sono più adeguati al costo della vita. Peggio. In Ticino da tempo crescono occupazion­e e ricchezza, ma al contempo aumentano la sottoccupa­zione, il precariato, il disagio sociale. Certo, la crescita “drogata” è anche dovuta ai lavoratori frontalier­i e alle enormi differenze retributiv­e (nonché costo della vita) fra Italia e Svizzera, ma siamo davvero convinti che solo cacciando tutti i frontalier­i si risolvereb­bero d’incanto i nostri problemi? Rispetto del diritto istituzion­ale a parte, dunque, non sarebbe male rimettere il campanile al centro del villaggio magari con una nuova “igiene dialettica” dove le parole ritrovino un senso e un peso appropriat­o. Ieri si è fatto un primo e importante passo in questa direzione. Magari è l’inizio di una nuova alba politica. Non abbiamo mai perso l’ottimismo.

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