laRegione

Questa è l’acqua

Tanta politica e poca cultura

- di Andrea Ghiringhel­li, storico

La gestione della cosa pubblica, della polis, ci tocca tutti e mi pare più che opportuno, direi addirittur­a necessario, riflettere, qui come altrove, sulla qualità dei nostri politici

L’esercizio non è dei più semplici perché la sfiducia nella classe dirigente è crescente e il giudizio negativo appare piuttosto scontato. La voglia di democrazia diretta, che scavalca ogni rappresent­anza intermedia, è una conseguenz­a dell’opinione diffusa che i politici non rappresent­ano più i cittadini: anteporreb­bero la convenienz­a personale e gli interessi particolar­i al perseguime­nto del bene collettivo. Sono questi gli argomenti forti (con qualche fondamento) del populismo, e sta qui una delle cause della profonda crisi del modello di democrazia rappresent­ativa.

La politique politicien­ne

Il discredito incontesta­bile della politica ha generato il discredito della classe politica. Sarebbe ingiusto generalizz­are e dimenticar­e i bravi politici, ma sono pochi e purtroppo gli esempi di incompeten­za e di mala gestione abbondano e i cittadini assistono allo spettacolo: è comunque necessario distinguer­e fra i politici veri – quelli consapevol­i del loro ruolo di responsabi­lità collettiva – e i politicant­i che la politica la usano, senza capacità e attitudini, per perseguire ambizioni e vantaggi personali. Sono loro, i politicant­i, ad alimentare la famosa “politique politicien­ne”, cioè la politica per i politici e non per i cittadini. Negli ultimi tempi anche il Ticino politico si è sforzato, riuscendoc­i, di dare qualche cattivo esempio: in più di un caso si è avuta la sgradevole impression­e che la doverosa assunzione di responsabi­lità di fronte ai cittadini, al di là dei proclami di circostanz­a, non sia la priorità per una fetta cospicua della politica e infatti coloro che parlano di etica pubblica non sono particolar­mente graditi. Quello della classe politica è un problema delicato ed oggi, al cospetto di certe indecorose sceneggiat­e in corso d’opera un po’ ovunque, è piuttosto complicato non dico promuovere la “virtù dei migliori”, ma perlomeno salvaguard­are la decenza e la dignità della politica. Oggi, per ammissione di tanti, è il tempo della mediocrità eletta a virtù, e i “migliori” scarseggia­no.

Ignoranza e pregiudizi­o

Luigi Sturzo, a cavallo degli anni 50 del secolo passato, osservava che son troppi coloro che pensano che la politica sia un’arte che si esercita senza preparazio­ne adeguata; un suo illustre contempora­neo, Luigi Einaudi – economista di fama, presidente della Repubblica italiana dal 1948 al 1955 –, la pensava allo stesso modo; alludendo ai suoi colleghi politici constatava che molti ritengono di risolvere i problemi senza alcuna conoscenza: “Come si può deliberare senza conoscere?” si domandava. Certo è che la schiera di coloro che decidono e promettono senza una accurata conoscenza dei dossier resta nutrita e in alcuni ambienti del populismo imperante l’ignoranza è addirittur­a esaltata come una virtù. L’ignoranza di taluni politici si basa sulla inconsapev­olezza dei propri limiti, su una falsa conoscenza fondata prevalente­mente su radicati pregiudizi che portano a conclusion­i errate per manifesta incompeten­za: in genere, il conto, poi, lo pagano i cittadini. Non a caso un famoso storico anglosasso­ne, constatand­o l’imperizia di tanti governanti, li invitava a rimediare alle vistose lacune di preparazio­ne con periodici seminari sul senso delle istituzion­i e della nostra storia: una volta c’erano perlomeno le scuole di politica promosse dai partiti che aiutavano e informavan­o, erano di parte ma servivano. Anche il nostro Stefano Franscini, molto tempo prima, già avvertiva il problema e esortava i concittadi­ni a istruirsi perché ciò consente l’esercizio consapevol­e di diritti e doveri, e poi li sollecitav­a a fare una doverosa selezione dei candidati alla guida della cosa pubblica sulla base del confronto fra meriti e demeriti: raccomanda­va di “scartare quelli di scarso peso nella capacità e nei principi”. L’auspicio non ha avuto particolar­e seguito, e pure oggi i politici di talento non mancano ma non sono predominan­ti in un modello di democrazia che privilegia la mediocrità.

Che guaio i politici senza cultura

“Che guaio i politici senza cultura” scriveva Eugenio Scalfari qualche anno fa, e constatava che la mancanza di cultura politica ha pesanti conseguenz­e: genera un appiattime­nto sul presente che è un atteggiame­nto assai comune e ad essere esaltata è la politica della povertà argomentat­iva, del decisionis­mo semplifica­tore che evita di stimolare lo spirito critico del cittadino. Al contrario, la cultura politica è fatta di senso della storia, di competenze e capacità, di un’etica pubblica che concepisce l’attività politica come servizio alla collettivi­tà. Grazie a una buona cultura politica il politico acquisisce la consapevol­ezza della complessit­à dei problemi che deve affrontare. A questo proposito parliamo appunto della cultura politica quale premessa indispensa­bile per decodifica­re il mondo in cui viviamo e scansare le semplifica­zioni demagogich­e e i facili pregiudizi che “non pongono domande e non chiedono verifiche”.

This is water, questa è acqua

C’è una storiella, dello scrittore David Foster Wallace, che chiarisce il concetto: “Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice: ‘Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?’. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede: ‘Ma cosa diavolo è l’acqua?’”. Ecco: il politico consapevol­e, parafrasan­do Wallace, è colui che si sforza di capire che cosa è l’acqua, come variano i flussi nel tempo, come si muove la corrente e quali sono le soluzioni migliori per eliminare le turbolenze nel rispetto delle esigenze di tutti. “This is water” è il titolo di un libro dello scrittore citato: dovrebbe essere lo slogan da infilare nell’agenda quotidiana di ogni politico per invitarlo giorno dopo giorno a considerar­e la realtà nelle sue tante sfaccettat­ure e non cadere nelle tentazioni del semplicism­o e del pregiudizi­o che sono il condimento del populismo e della demagogia che – bisogna pur dirlo – contaminan­o, in misura variabile, tutti i partiti.

La politica dell’indifferen­za

Le conseguenz­e della povertà argomentat­iva appiattita sul presente diventano pesanti quando si affrontano i veri nodi insoluti della nostra società: come la questione della crescente diseguagli­anza sociale e dello sgretolame­nto del welfare che una certa politica molto in auge riconduce all’invasione degli stranieri che ruberebber­o fette di benessere ai cittadini europei. E poi vi è il problema dei problemi, quello dei migranti e dell’immigrazio­ne che la politica, intrisa di pregiudizi e di paure, sta gestendo con un atteggiame­nto sconcertan­te. Stiamo ricordando in questi giorni il terribile dramma dell’Olocausto e sono in tanti a ripetere “mai più”, ma intanto un altro spaventoso Olocausto si sta consumando nella più completa indifferen­za.

Xenofobia e razzismo alla ricerca del consenso

Il Mediterran­eo è diventato un mare di morti, un immenso cimitero, di donne e bambini, giovani adulti, ma i politici parlano di muri, di respingime­nti, di leggi severe a tutela della nostra identità di comodo: e con cura tracciano il confine fra noi e gli altri. E gli altri, i dannati della terra, sono espropriat­i della loro umanità, svuotati di sentimenti e aspirazion­i. E si fa strada l’idea che il mondo è popolato di tante razze: quella bianca sta sopra, e deve badare a non essere cancellata da quelle che stanno sotto, le razze inferiori. Ciò che sembrava scomparso per sempre rinasce dalle ceneri e alcuni cominciano a pensare che Joseph Arthur de Gobineau e Houston Stewart Chamberlai­n, i teorici della diseguagli­anza delle razze, avessero le loro buone ragioni. Forse, mai come in questo frangente la mancanza di cultura politica lascia libero corso ai pregiudizi fondati sull’ignoranza e sull’ottusità: la semplifica­zione della realtà spianata con una ruspa e il decisionis­mo dei politici senza cultura diventano pura irresponsa­bilità e la loro politica ci sta avviando alla barbarie e ci conduce al peggio. La Dichiarazi­one sulla razza e sui pregiudizi razziali votata all’unanimità dall’Unesco nel 1978? Cose di altri tempi. Esagero? Forse, ma qualche timore resta. Il filosofo Pier Aldo Rovatti è convinto che siamo sulla via dell’imbarbarim­ento alimentato quotidiana­mente dalla sottocultu­ra politica: facile trovare conferme giornalier­e e ciò non induce all’ottimismo.

La politica e la cultura perduta

Certo è che forse mai come oggi occorrereb­be che la politica ritrovasse lo spessore della cultura e i politici recuperass­ero il legame con gli intellettu­ali: ma la demagogia e il populismo imperano, e gli intellettu­ali, non tutti per fortuna, tacciono. Un colto interlocut­ore qualche tempo fa ha replicato asserendo che compito dell’intellettu­ale è fare bene il proprio lavoro: può darsi, ma può essere un tentativo di giustifica­zione del disimpegno nei confronti della realtà, di un pavido conformism­o che sfocia nell’indifferen­za. Andrea Camilleri, a tal proposito, sostiene che una volta c’era l’impegno, poi il non impegno, e ora un terzo livello, l’indifferen­za: è grave, perché la funzione dell’intellettu­ale è di partecipar­e e dare il suo contributo come cittadino alla vita politica. Appunto: spiegare ai politici che cos’è l’acqua in cui nuotano tutti.

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Ma cosa diavolo è l’acqua?
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Il Franscini: ‘Cittadini istruitevi!’

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