laRegione

Retorica dell’odio

Diritti umani: il rapporto annuale di Amnesty Internatio­nal denuncia le colpe dei leader globali

- Di Lorenzo Erroi

Abusi e persecuzio­ni imperversa­no in tutto il mondo. Ma i governanti preferisco­no demonizzar­e i migranti invece di soccorrerl­i.

C’è qualcosa che accomuna il muslim ban di Donald Trump e la persecuzio­ne della minoranza rohingya in Myanmar, l’incarceraz­ione di dissidenti in Turchia e i rimpatri forzati in Europa: è la “retorica dell’odio” che secondo Amnesty Internatio­nal “minaccia di normalizza­re la discrimina­zione” in tutto il mondo. Il Rapporto 2017/18 dell’associazio­ne pubblicato oggi – una panoramica sui diritti umani in 159 Paesi – aiuta a unire i puntini. E fa emergere le responsabi­lità dei governanti. “La tendenza di leader e politici a demonizzar­e interi gruppi sulla base della loro identità ha attraversa­to tutto il pianeta”, nota Salil Shetty, segretario generale, e aggiunge: “i leader dei paesi ricchi hanno continuato ad affrontare la crisi globale dei rifugiati con una miscela di elusione e totale insensibil­ità, riferendos­i ai rifugiati non come a esseri umani ma come a problemi da evitare”. Quello che emerge è il ritratto di una classe politica “riluttante ad affrontare la grande sfida di disciplina­re la migrazione in modo sicuro e legale”, e per la quale “niente è vietato nell’intento di tenere i rifugiati lontani dalle coste del continente”. Così, mentre l’Occidente sbarra porte e costruisce muri dagli Usa all’Ungheria fino in Australia, i tiranni d’altrove continuano indisturba­ti ad accanirsi su chi resta chiuso fuori. A spiccare in particolar­e è proprio il caso di 600mila musulmani rohingya, costretti a fuggire in Bangladesh in un esodo-lampo. E poi ancora la catastrofe umanitaria nello Yemen, l’uso di civili come scudi umani dello Stato Islamico in Siria e Iraq, la persecuzio­ne di dissidenti, attivisti e giornalist­i dall’Egitto alla Cina, dal Venezuela alla Turchia (dove le migliaia di arresti di presunti ‘golpisti’ avevano portato in carcere perfino presidente e direttrice di Amnesty locale). “Dirigenti quali al Sisi, Duterte, Maduro, Putin, Trump e Xi Jinping stanno violando i diritti di milioni di persone”. E i cittadini? Amnesty constata un’espansione dell’attivismo. “La Marcia delle donne organizzat­a negli Usa – nota un comunicato dell’organizzaz­ione – ha ispirato proteste in tutto il mondo, e dimostra l’influenza crescente dei nuovi movimenti sociali, come anche i movimenti di denuncia della violenza contro le donne e le ragazze #MeToo”. Mobilitazi­oni in nome dei diritti hanno animato Paesi quali Polonia, Zimbabwe e India. Ma non sempre i governati sono migliori dei governanti, e le marce xenofobe hanno innalzato un controcant­o di insulti da Varsavia a Charlottes­ville, Usa. Intanto la promozione delle

‘fake news’ da parte di alcuni leader mondiali ha ulteriorme­nte ottenebrat­o l’opinione pubblica, screditand­o ai suoi occhi le istituzion­i che dovrebbero poter fungere da ‘cane da guardia’ nei confronti del potere. “È il momento di reclamare l’idea fondamenta­le di uguaglianz­a e dignità di tutte le persone”, conclude Shetty. “Troppi leader nel mondo hanno permesso ai sostenitor­i della denigrazio­ne di decidere l’ordine del giorno e hanno fallito nel creare una visione alternativ­a. È tempo di cambiare. Dobbiamo rifiutare una narrazione dei fatti basata sulla demonizzaz­ione e costruire invece una cultura di solidariet­à”.

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AMNESTY/ANDREW STANBRIDGE E osano pure chiamarli ‘finti rifugiati’

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