Un arsenale della ’ndrangheta
Tre candelotti di tritolo con innesti inseriti e in grado di esplodere, tre mitragliatori e una pistola automatica (armi da guerra in uso all’esercito croato) e trecento munizioni: è l’arsenale della ’ndrangheta scoperto a Porlezza. Era nascosto nel basamento di un grande tavolo di un appartamento che sino a fine 2016 era occupato da lavoratori edili, presunti fiancheggiatori della cosca Raso-Gullace-Albanese, famiglia calabrese, radicata da anni in Piemonte, sgominata due anni fa, con l’arresto di 18 presunti ’ndranghetisti affiliati alla “locale” di Santhià (Vercelli), collegata alla potente cosca Pesce Bellocco di Rosarno (Calabria). Sequestro di persona, tentato omicidio pluriaggravato ed estorsione ai danni dei gestori di locali notturni, i reati più gravi contestati ai 18 arrestati. L’indagine, iniziata nel 2010, ha fatto emergere l’assoggettamento e l’omertà delle vittime che, temendo vendette, hanno sempre negato di aver pagato gli estorsori. L’arsenale a Porlezza è stato evocato da un pentito nell’udienza preliminare nei confronti di 17 imputati che avevano scelto il rito abbreviato per avere lo sconto di un terzo della pena. Solo Antonio Raso, considerato il capo della “locale” di Santhià ha voluto il processo in aula. La scoperta risale a dicembre, ma la notizia è stata fornita ieri dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino. «La cosca Raso aveva la necessità di nascondere armi ed esplosivo lontano dal Piemonte, perciò hanno scelto Porlezza», sostiene il commissario Marika Viscovo, capo della squadra mobile di Biella. Chi abbia trasferito l’arsenale a Porlezza è tuttora oggetto d’inchiesta mentre per quel che riguarda possibili legami con Ticino e Svizzera, «per gli elementi di cui disponiamo non ci sono agganci con la Svizzera. Ma non lo posso escludere», dice Viscovo.