Una vita per la politica
È morto Benito Bernasconi. Fu magistrato, consigliere di Stato e presidente del Partito socialista Pietro Martinelli, come lui ex ministro: ‘Ci divideva il ’68, ma ha messo le basi anche per le mie riforme’
La politica ticinese ha perso un altro dei suoi testimoni. Benito Bernasconi, una vita da socialista, se ne è andato alla soglia dei suoi 95 anni. Lo ha fatto portando con sé un pezzo della storia (a ciascuno decidere se metterci o meno la maiuscola) del cantone. Innanzitutto chiassese, poi avvocato – approdato anche in magistratura –, Bernasconi ha attraversato l’arco istituzionale – dal Municipio cittadino al governo – lasciando, di sicuro, il segno; in particolare in chi lo ha conosciuto e ha condiviso con lui un tratto di strada. Tra i compagni (qui a tutto tondo) di percorso c’è senz’altro Pietro Martinelli, come lui consigliere di Stato, di dieci anni più giovane, ma soprattutto in costante dialettica: Bernasconi sul fronte Pst, Martinelli sul fronte Psa. «Credo – ci fa notare subito – che, come mentalità e modo di affrontare la politica, fra noi passasse una generazione e mezzo». Tra i primi ricordi del Benito Bernasconi novantenne, intervistato da ‘laRegione’ (era l’aprile 2013), c’era però ancora l’eco di quella che definì la “buriana”, ovvero la divisione fra Pst, Psa e Comunità dei socialisti. «Discussione appassionata e appassionante», rammenta a sua volta Martinelli. E per certi versi lacerante. Lei ha condiviso quei tempi. «Benito Bernasconi è stato un personaggio della mia carriera politica, dall’inizio alla fine. Dagli anni della direzione Pst fino al ’99: lui infatti ha smesso in Gran Consiglio quando io ho smesso in governo. Pensando a quei periodi, Bernasconi era apparentemente conciliante, ma di fatto non ci capiva o non cercava di capirci. Probabilmente per molte persone di quell’epoca il salto – con il Sessantotto – era troppo grande. Salto poi recuperato successivamente (ma questa è un’altra storia)». Un suo ricordo? «Lo ricordo come consigliere di Stato – ripercorre Martinelli –, aveva un modo di parlare e di portare avanti i problemi a mio parere non lineare, ma di sicuro efficace. Creò una solida base per lo Stato sociale. Base sulla quale anch’io ho poi costruito le mie successive riforme. Penso in particolare al settore degli anziani e della sanità. Per me è stato, poi, l’unico politico ad avere il coraggio di dichiarare in parlamento che i partiti di governo, in mancanza d’altro, si finanziavano con le donazioni successive a mandati. Riecheggia la famosa frase: “Chi non sa è caduto dal seggiolone da piccolo”». Tra di voi come andò? «Nonostante io l’avessi attaccato dal parlamento, quando ci trovammo in posizione capovolta lui non ricambiò. Anzi: nel 1995, in concomitanza con la mia ultima campagna elettorale, intervenne al congresso del Ps per sostenere la mia candidatura: un gesto non solo politico ma anche di generosità umana». Resta poi l’impronta del politico di razza. «Era un po’ l’antesignano di un modo di fare politica che non era il nostro, ma che ha ottenuto anche risultati importanti». Diciamo che era un mediatore di retrovia. Nel guardare il presente, ci confessò, lo amareggiava la politica gridata, l’assenza di un vero confronto. «Va detto che allora c’erano i partiti come centro di formazione di cultura politica – richiama Martinelli –. Oggi questo è in parte andato perso, magari a livello locale un po’ meno, ma se guardiamo a livello europeo e italiano effettivamente è un disastro. Contano le affermazioni shock, conta creare disorientamento e non la voglia di argomentare come esisteva in quegli anni. C’era una visione globale di ciò che andava a vantaggio del Paese, adesso c’è a livello puntuale o demagogico».