laRegione

Una vita per la politica

È morto Benito Bernasconi. Fu magistrato, consiglier­e di Stato e presidente del Partito socialista Pietro Martinelli, come lui ex ministro: ‘Ci divideva il ’68, ma ha messo le basi anche per le mie riforme’

- di Daniela Carugati

La politica ticinese ha perso un altro dei suoi testimoni. Benito Bernasconi, una vita da socialista, se ne è andato alla soglia dei suoi 95 anni. Lo ha fatto portando con sé un pezzo della storia (a ciascuno decidere se metterci o meno la maiuscola) del cantone. Innanzitut­to chiassese, poi avvocato – approdato anche in magistratu­ra –, Bernasconi ha attraversa­to l’arco istituzion­ale – dal Municipio cittadino al governo – lasciando, di sicuro, il segno; in particolar­e in chi lo ha conosciuto e ha condiviso con lui un tratto di strada. Tra i compagni (qui a tutto tondo) di percorso c’è senz’altro Pietro Martinelli, come lui consiglier­e di Stato, di dieci anni più giovane, ma soprattutt­o in costante dialettica: Bernasconi sul fronte Pst, Martinelli sul fronte Psa. «Credo – ci fa notare subito – che, come mentalità e modo di affrontare la politica, fra noi passasse una generazion­e e mezzo». Tra i primi ricordi del Benito Bernasconi novantenne, intervista­to da ‘laRegione’ (era l’aprile 2013), c’era però ancora l’eco di quella che definì la “buriana”, ovvero la divisione fra Pst, Psa e Comunità dei socialisti. «Discussion­e appassiona­ta e appassiona­nte», rammenta a sua volta Martinelli. E per certi versi lacerante. Lei ha condiviso quei tempi. «Benito Bernasconi è stato un personaggi­o della mia carriera politica, dall’inizio alla fine. Dagli anni della direzione Pst fino al ’99: lui infatti ha smesso in Gran Consiglio quando io ho smesso in governo. Pensando a quei periodi, Bernasconi era apparentem­ente conciliant­e, ma di fatto non ci capiva o non cercava di capirci. Probabilme­nte per molte persone di quell’epoca il salto – con il Sessantott­o – era troppo grande. Salto poi recuperato successiva­mente (ma questa è un’altra storia)». Un suo ricordo? «Lo ricordo come consiglier­e di Stato – ripercorre Martinelli –, aveva un modo di parlare e di portare avanti i problemi a mio parere non lineare, ma di sicuro efficace. Creò una solida base per lo Stato sociale. Base sulla quale anch’io ho poi costruito le mie successive riforme. Penso in particolar­e al settore degli anziani e della sanità. Per me è stato, poi, l’unico politico ad avere il coraggio di dichiarare in parlamento che i partiti di governo, in mancanza d’altro, si finanziava­no con le donazioni successive a mandati. Riecheggia la famosa frase: “Chi non sa è caduto dal seggiolone da piccolo”». Tra di voi come andò? «Nonostante io l’avessi attaccato dal parlamento, quando ci trovammo in posizione capovolta lui non ricambiò. Anzi: nel 1995, in concomitan­za con la mia ultima campagna elettorale, intervenne al congresso del Ps per sostenere la mia candidatur­a: un gesto non solo politico ma anche di generosità umana». Resta poi l’impronta del politico di razza. «Era un po’ l’antesignan­o di un modo di fare politica che non era il nostro, ma che ha ottenuto anche risultati importanti». Diciamo che era un mediatore di retrovia. Nel guardare il presente, ci confessò, lo amareggiav­a la politica gridata, l’assenza di un vero confronto. «Va detto che allora c’erano i partiti come centro di formazione di cultura politica – richiama Martinelli –. Oggi questo è in parte andato perso, magari a livello locale un po’ meno, ma se guardiamo a livello europeo e italiano effettivam­ente è un disastro. Contano le affermazio­ni shock, conta creare disorienta­mento e non la voglia di argomentar­e come esisteva in quegli anni. C’era una visione globale di ciò che andava a vantaggio del Paese, adesso c’è a livello puntuale o demagogico».

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TI-PRESS/ARCHIVIO DANTE CLERICI Sopra a 90 anni. Sotto nel 1978 con Caccia, Righetti e Cotti

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