Fashion Victim
Pillole Dal Mondo
Un nido innovativo
Classificato come specie vulnerabile in Australia, l’albatro della Tasmania è vittima del cambiamento climatico, soprattutto per l’innalzamento delle temperature dell’oceano che rendono più difficile procacciare le prede con cui sfamarsi. Nel luglio del 2017 il WWF Australia ha avviato un progetto di conservazione con l’obiettivo di aumentare il successo riproduttivo dell’albatro cauto. Per fortuna gli uccelli sembrano gradire i nidi artificiali più resistenti.
Stop alla plastica
La quantità di plastica che inquina i mari è notevole, tanto che la microplastica ha raggiunto anche le aree più remote degli oceani. Il governo scozzese ha preso in mano la questione e ha istituito una commissione d’esperti per studiare in quali modi si possa ridurre l’utilizzo della plastica monouso. La notizia segue la stessa politica ecologica dietro all’intento, sempre del governo scozzese, di voler vietare la produzione e la vendita dei bastoncini cotonati.
Solo bus elettrici
Shenzhen, città di 12 milioni di abitanti, con un totale di 16’359 bus elettrici ha convertito l’intero parco autobus. Con questa mossa audace ha deciso di combattere la scadente qualità dell’aria. I nuovi autobus inquinano e consumano meno: la metropoli cinese risparmia così il 70% d’energia per il trasporto pubblico ed emette 1,35 milioni di tonnellate di CO2 in meno. Oltre ai benefici ecologici, le macchine sono più silenziose e la manutenzione è più facile.
Volontari salvano le foche
La foca di Saimaa è una delle foche più rare del mondo, sull’orlo dell’estinzione. Grazie al progetto di conservazione cominciato dal WWF nel 1979, ne sono rimaste circa 360 in Finlandia. A causa dell’innalzamento delle temperature e la conseguente mancanza di neve, la foca di Saimaa fa fatica a costruire la tana in cui partorire. I volontari del WWF aiutano le foche costruendo dei cumuli di neve che gli animali possono usare negli inverni più caldi.
Emissioni di CO2 in rialzo
L’ufficio federale di statistica ha pubblicato dei dati relativi alle emissioni di gas serra – CO2, CH4 e N2O - del nostro Paese. Nell’analisi pilota rientrano tutte quelle emissioni provocate dalla domanda svizzera, quindi anche dovute ai beni importati dall’estero. Ci si aspetterebbe una tendenza al ribasso. Invece, quello che si osserva è un preoccupante aumento fino a 14 tonnellate pro capite, causato interamente dalle emissioni generate negli altri Paesi per produrre i nostri beni.
Che sia per proteggersi dal freddo, dalle intemperie o come mezzo d’espressione, vestirsi è per l’uomo un bisogno di prima necessità. Un tempo l’abito era dimostrazione dello stato sociale, oggi la moda è accessibile a un vasto pubblico e le tendenze cambiano sempre più velocemente. Con lo sviluppo dell’industria tessile hanno preso piede le fibre sintetiche che hanno scalzato il dominio del cotone e della lana. Ogni anno, ben 16 chili di vestiti si aggiungono a ogni singolo guardaroba, il doppio rispetto a vent’anni fa. Siamo talmente abituati alle campagne pubblicitarie che invogliano il consumatore a comprare nuovi abiti a scadenze continuamente più ravvicinate, che l’offerta di vestiti a buon mercato in quantità quasi inesauribile ci sembra la normalità. Esiste però un costo sociale, ambientale e di salute pesante come un macigno.
Il problema
Una moda tanto veloce e a buon mercato – fino a 24 nuove collezioni in un anno! – è possibile solo grazie alla delocalizzazione in Paesi con costi di produzione più convenienti. La maggior parte dei tessili viene infatti prodotto in Asia dove i salari sono più bassi e i diritti dei lavoratori meno salvaguardati. Gli standard delle aziende tessili in questi paesi sono spesso contraddistinti da orari di lavoro estremi e lavoro minorile così
come dalla mancanza di assicurazioni sociali e di un’organizzazione sindacale. La produzione di cotone nello specifico comporta un impatto negativo sia sulla salute ambientale che su quella umana. Le monoculture causano la distruzione di importanti habitat naturali e l’impoverimento del suolo. Inoltre, per produrre una sola maglietta in cotone sono necessari 2’700 litri d’acqua – una quantità spropositata considerando che spesso il cotone è coltivato in zone con scarse riserve d’acqua – e dosi spaventosamente alte di insetticidi e pesticidi. Basti solo pensare che i campi di cotone occupano solo il 2,5% della superficie coltivabile ma sono responsabili del 16% della domanda mondiale di insetticidi e del 7% di quella di pesticidi. Se a questo scenario si aggiunge una regolamentazione più blanda rispetto alle nostre latitudini, si fa presto a capire che le acque sporche vengono espulse dalle fabbriche senza criterio e vanno a inquinare la falda freatica, il cibo e l’acqua potabile.
L’alternativa biologica
Il cotone biologico è un’alternativa a minor impatto ecologico rispetto a quello convenzionale. Non solo necessita il 71% d’acqua e il 62% di energia in meno, ma non è prodotto da semi geneticamente modificati che possono provocare una trasformazione imprevedibile dell’ambiente. Inoltre, la sua natura biologica implica che non vengano utilizzati veleni o sostanze tossiche. In sostanza, il cotone biologico rispetto a quello convenzionale ha bisogno di una frazione dell’acqua, non inquina la falda freatica e non danneggia il suolo. Questi sono i principali vantaggi per la natura, ma ce ne sono diversi anche per l’uomo. Le stesse sostanze chimiche usate sul cotone convenzionale rimangono sui capi anche dopo il lavaggio e vengono a contatto con la nostra pelle. Anche da un punto di vista sociale l’alternativa biologica è superiore: il bio-cotone permette ai lavoratori una qualità di vita più alta poiché può essere venduto a un prezzo equo.
Cosa fa il WWF
Con progetti concreti, l’analisi dell’industria tessile e un lavoro di sensibilizzazione di produttori e consumatori, il WWF si impegna a ridurre l’impatto ambientale. I progetti concreti a livello locale in India e Pakistan sostengono la riduzione del consumo d’acqua e dell’utilizzo di sostanze chimiche. In collaborazione con le aziende attive in Cina e Bangladesh, il WWF partecipa al progetto Water Stewardship che mira a migliorare la gestione di importanti bacini idrici per il beneficio dell’ambiente e dell’uomo. Il WWF Svizzera, basandosi su dati dell’agenzia di rating indipendente Oekom Research Ag, ha esaminato l’impegno ecologico di 12 aziende tessili in aspetti fondamentali tra cui la loro strategia ambientale, il cambiamento climatico, gli investimenti e la gestione delle acque e delle materie prime. Nessuna delle imprese si posiziona nella categoria più alta e per molte l’impatto ambientale non ha alcuna importanza. La pubblicazione del rating ha incoraggiato 8 aziende ad avvalersi del WWF per rendere sostenibile la loro strategia ambientale. L’efficienza ecologica per ridurre l’impatto ambientale lungo la catena di produzione di valore non è sufficiente. Le aziende tessili si devono impegnare a sostituire l’attuale modello di business lineare “produrre-vendere-smaltire” con un approccio più circolare attraverso pratiche commerciali innovative quali la riparazione e il riciclo. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito: wwf.ch.
Cosa puoi fare tu
Il consumatore ha una grande responsabilità nell’impatto ambientale e deve modificare il proprio comportamento di conseguenza. Acquistare meno vestiti è il modo più efficace. Per allungarne il ciclo di vita è importante imparare a curare e riparare gli abiti usati e condividere, scambiare e riciclare i capi di abbigliamento che rimangono inutilizzati nel guardaroba.