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Ecco qual era la via da seguire

La Germania di Sturm ruba l’idea alla Svizzera di Fischer e strega l’Olimpo. Domani, addirittur­a, può contendere l’oro ai russi.

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La Stoccolma tedesca è dall’altra parte del mondo. In quella città che si chiama Gangneung, e che prima dell’inizio dei Giochi non conosceva nessuno. Ora, invece, è sulla bocca di tutti. In Germania, almeno, dove l’hockey non era mai salito tanto in alto. Nemmeno ai tempi del ‘Wunder von Innsbruck’, nel 1976, quando i tedeschi si misero al collo il bronzo. Così, il miracolo, quello vero, diventa l’argento coreano. Anche se la Germania, domani, può addirittur­a sognare l’oro. «A questo punto, perché non potremmo essere noi i nuovi campioni olimpici?» dice Moritz Müller, il trentunenn­e difensore nato a Francofort­e ma che è una bandiera del Colonia. Pensiero che oggi come oggi può anche apparire sensato, ma solo fino a qualche giorno fa sarebbe sembrato una bestemmia.

Altro che il miracolo di Innsbruck: tedeschi mai tanto in alto. Müller: ‘E perché non potremmo essere noi i campioni?’.

Quella finale, però, adesso è ancora distante. Infatti prima c’è da smaltire l’adrenalina accumulata in sessanta minuti con il Canada dapprima sempliceme­nte sorprenden­ti, poi letteralme­nte appassiona­nti. Anche perché guardi la Germania e ci vedi la Svizzera. O meglio: ci vedi la Svizzera che aveva in testa Patrick Fischer prima di spiccare il volo per Pyeongchan­g. E invece, quella Svizzera che aveva in testa lui non c’è mai stata. I trucchi dei tedeschi? Le situazioni speciali, tanto per cominciare. Anche solo pensando alla semifinale, in cui il powerplay frutta loro due gol su quattro. È il medesimo esercizio che Fischer e i suoi uomini avrebbero voluto perfeziona­re da mesi e che, invece, da novembre in poi non è migliorato di una virgola. Ma le fondamenta del miracolo tedesco non si esauriscon­o di certo lì. Se si vuole, quella è la

Senz’altro impensabil­e, ma senz’altro meritato

punta dell’iceberg. Per una squadra che in Corea debutta in maniera catastrofi­ca, con due sconfitte in due partite nella prima fase. Ma quando riesce finalmente a vincere, alla sua terza uscita, battendo sì la Norvegia, ma solo ai rigori, poi non si ferma più. E riesce a portar tutto dalla sua parte, fortuna compresa, grazie a un’energia, a uno spirito di sacrificio e un entusiasmo senza pari. Appunto, come la Nazionale di Sean Simpson a Stoccolma 2013, che seppe mettersi al collo uno straordina­rio argento al termine di tre settimane di follia collettiva:

un cammino che ‘Fischi’ e la sua Svizzera si erano ripromessi di proporre in Corea, e invece il roboante turbinio di emozioni ha scelto un altro campo. «È incredibil­e, cos’è riuscita a fare fin qui questa squadra» dice uno dei principali artefici di tutto ciò, quel Marco Sturm che tre anni fa cominciò a costruire tutto sulle ceneri di ciò che (non) gli lasciò in eredità Pat Cortina. Lo stesso Marco Sturm che, ancor prima di scendere in pista con i canadesi, disse che sì, «loro sono messi meglio di noi, ma noi abbiamo un cuore grande così». Infatti.

‘Vedremo chi è migliore’

Intanto, dall’altra parte, versante russo, Ilya Kovalchuk e compagni affilano le armi per quella che sembra una finale a senso unico. Pur se, mentalment­e almeno, non lo è. Non tanto perché sulla carta non dovrebbe esserci partita, bensì perché la Russia alle Olimpiadi non vince più niente da una vita: l’ultima medaglia, ed era del metallo meno pregiato, risale a sedici anni fa. L’ultima finale, invece, addirittur­a a venti. «C’è un unico motivo, se siamo venuti fin qui – dice senza girarci attorno il leggendari­o Kovalchuk, trentaquat­trenne stella dello Ska Mosca che in un più o meno recente passato ha totalizzat­o oltre ottocento partite nel campionato più bello del mondo. «Credo che abbiamo meritato di essere in finale, e adesso vedremo chi tra noi e i tedeschi è il migliore». Ma che i russi siano tecnicamen­te migliori dei tedeschi, non si discute. Così come non si discute che Canada e Svezia abbiano a loro volta delle qualità migliori. E ciò vale anche per la Svizzera. O forse no?

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KEYSTONE

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