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Lo scivolone di Sergeeva: ora la Russia incrocia le dita

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L’accordo c’era. Infatti il sì del Cio era praticamen­te cosa fatta, tra strette di mano e un bronzo sacrificat­o sul piatto della bilancia. Alla cerimonia di chiusura, quindi, una Russia condannata all’anonimato in questi Giochi per colpa del doping, che ha costretto i suoi atleti a gareggiare sotto l’insegna degli ‘Atleti olimpici russi’, avrebbe infine ritrovato i suoi colori. Solo che, proprio sul filo di lana, nel giorno in cui i russi celebrano il loro primo oro, ecco arrivare un altro scivolone legato al doping. Il secondo dei quattro in totale emersi a quest’edizione che tocca direttamen­te la delegazion­e russa. Dopo il curler Krushelnit­skii, bronzo nel misto, nel sangue della specialist­a del bob Nadezhda Sergeeva sono state rinvenute tracce di uno stimolante. Sergeeva, oltretutto, non nuova a vicende del genere, dato che era finita nello scandalo meldonium nel 2016, poi graziata dalla sanatoria decisa dall’Ama. E il caso di Sergeeva (tra l’altro, solo dodicesima in gara) ora rischia di costringer­e Mosca a rimettere la bandiera nel cassetto: attesa soltanto nella giornata odierna, la decisione del Cio verrà presa da una commission­e interna chiamata a valutare il percorso fatto ai Giochi dalla delegazion­e degli atleti olimpici di Russia (Oar), oltre al rispetto delle norme etiche e degli accordi dello scorso dicembre che hanno consentito comunque a una nutrita delegazion­e di partecipar­e ai Giochi nonostante il bando. Dovevano essere ‘doping free’, e invece il 50% dei casi positivi riguarda i russi. Gli scenari adesso sono due: il Cio decide di non levare il bando, ergendosi così a paladino della lotta antidoping, oppure concede ai russi di sfilare con la loro bandiera nonostante i due casi di doping in Corea. Ciò che, però, potrebbe anche suonare come una scelta dettata da pressioni. E che (sottolinea un membro del Cio che preferisce mantenere l’anonimato) «potrebbe portare alcuni comitati olimpici a boicottare la cerimonia di chiusura».

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