La rivoluzione dolce
La commedia dialettale approda al Sociale con Flavio Sala: risate, applausi e un rinnovamento a metà
‘Un altro bel garbüi’ rivela una compagnia affiatata e una pièce ben scritta, con cui ribaltare alcuni stereotipi e rivalutare degnamente la commedia dialettale. Per il rinnovamento, però, serve un po’ più coraggio...
Giovedì sera, Bellinzona. Mi porto al Teatro Sociale con l’animo immacolato di uno il cui legame, labile, con la commedia dialettale, si alimenta di lontani ricordi degli scoppiettanti acuti di Mariuccia Medici e della bonarietà sorniona di Quirino Rossi. Ammetto con me stesso: di non aver mai riso con una filodrammatica, di provare un’istintiva repulsione per gli stereotipi “en travesti” alla Palmira, di non aver ancora mai trovato la motivazione utile a scoprire Flavio Sala in formato teatrale. Il teatro è gremito per ‘Un altro bel garbüi’. Mi sento un po’ un intruso, dissimulato fra i partecipanti a un rito collettivo che marca l’appartenenza alla comunità. Sul palco la Compagnia accoglie più generazioni di attori, nel segno di un rinnovamento “dolce” della commedia che non rinuncia alla tradizione. E dunque, attorno a Sala: Sandra Zanchi, Leonia Rezzonico, Orio Valsangiacomo, Giuseppe Franscella, Moreno Bertazzi, John Rottoli e Rosy Nervi. Si percepisce subito che un lavoro accurato è stato fatto per arrivare pronti a questo appuntamento a suo modo storico, la prima di una commedia dialettale al Sociale. Stiamo parlando di una tradizione in cui i toni sono sempre un poco sopra le righe e i caratteri un tantino forzati, fa parte di questo meccanismo comico. Detto questo, tutti si calano bene nella parte, nessuna caduta amatoriale; l’affiatamento si esprime al meglio proprio lì, sul palco. Certo, i “vecchi” fanno valere il mestiere, Valsangiacomo e Leonia Rezzonico sono del tutto a loro agio, e Sandra Zanchi è esilarante nel piccolo ruolo dell’anziana fanatica di auto sportive col piede pesante. Da parte sua Sala è un mattatore discreto, non prevarica mai le sue spalle comiche (bravo in particolare Rottoli nei panni del meccanico gay). Pure Rosy Nervi supera la prova come meccanica in tacchi a spillo, legata a uno slang biaschese molto verace che non manca di disorientare i suoi interlocutori.
‘Chiamami Matteo Pelle’
In breve: nel garage Pistoni Nando (Sala) è il capomeccanico ammirato da tutti, in particolare per quell’avvenenza che gli garantisce avventure amorose a grappoli (“chiamami Matteo Pelle”...), ma anche le attenzioni della attempata moglie del proprietario. L’arrivo di un nuovo meccanico, sexy e intraprendente come Toyota Rodoni (Nervi), non può che mandare all’aria questo equilibrio. Dopo una serie di disavventure, il galletto si vedrà ridimensionato sia a livello professiona-
le, sia come infaticabile latin lover irriducibile ad ogni legame stabile. Se l’obiettivo era regalare una serata divertente, è stato centrato. Chi più chi meno, tutti in sala ridono e alla fine dello spettacolo gli attori vengono salutati con un applauso lungo e quanto mai caloroso. Una grossa parte del merito va all’autore, il giovane Jonas Calderari, che amministra con sicurezza i tempi drammaturgici, in una pièce fondata sul classico campionario del teatro comico: equivoci, fraintendimenti, doppi sensi più o meno piccanti, scambi di persona, ribaltamento degli stereotipi di genere. E lo sa fare senza volgarità gratuite, piazzando per altro alcune battute riuscite (evocando anche in modo ironico il nostro contesto sociale e politico), altre tagliate in modo più grossolano. Per il resto, pur riconoscendo che i miei ricordi in materia sono confusi, non mi pare di cogliere nulla di realmente rivoluzionario rispetto ai tempi del buon Sergio Maspoli. In scena si fa cenno molto timidamente ad una odierna incertezza sul posto di lavoro, vengono “sdoganati” con ironia felice l’omosessualità e anche un bacino fra uomini, si richiama per via comica l’esigenza di un nuovo ruolo, sociale e professionale, per la donna. Il tutto in modo professionale e scevro da stereotipi usurati. È un passo. Sul piano del coraggio, però, con cui aggiornare davvero la commedia dialettale, si può osare di più.