laRegione

Aspettando l’Orso, il concorso sprofonda

- Dall’inviato Ugo Brusaporco

Finisce nello sprofondar­e, il Concorso di questa Berlinale numero 68 che ha posto nel fuori concorso i film più interessan­ti come ‘Ága’ del bulgaro Milko Lazarov. È questo un film che, non solo per il nome del protagonis­ta, Nanook, rimanda a uno dei pochi capolavori assoluti della storia del cinema: ‘Nanook of the North: A Story of Life and Love in the Actual Arctic’ di Robert J. Flaherty. Rispetto al film del 1922, questo di Lazarov muta il titolo in ‘Ága’, che è il nome della figlia del protagonis­ta, ma mantiene intatto il senso di una storia di vita e amore nell’attuale artico. Questo moderno Nanook sembra essere quel giovane del 1922 invecchiat­o insieme alla moglie; i figli sono grandi e lontani, l’Artico non è più lo stesso, i ghiacci si sono ridotti, gli animali da cacciare si sono fatti più rari e il cielo è percorso da scie bianche di aerei che ininterrot­tamente rompono la pace di quei luoghi dove i gatti della neve sorridono alle slitte, dove sono sorte ovunque città e strade tagliano pianure bianche percorse da veloci camion con i loro rimorchi sempre carichi di tronchi e di minerali preziosi. Nanook insiste a cacciare nonostante i capelli bianchi e gli occhi stanchi, senza una tribù vicino con cui condivider­e la caccia e una parola, e con la moglie che sta per morire. Non è solo il suo mondo che crolla, è il mondo di tutti e un film come questo, magistrale nell’impianto narrativo, ci aiuta a comprender­lo. Gli ultimi due film in competizio­ne non avevano molto da dire, anzi. ‘Twarz’ (Mug, Faccia) di Małgorzata Szumowska ha il problema di non dire abbastanza. La regista polacca, un vero mito in patria, affronta un tema importante, quello dell’identità. Per il protagonis­ta, il giovane ed esuberante Jacek, l’identità è essenzialm­ente un peso, dopo un incidente sul lavoro che lo ha sfigurato e dopo un’operazione di ricostruzi­one che lo ha reso mostruoso: abbandonat­o dalla fidanzata, detestato dalla madre, irriso dai bambini, persino vittima di un esorcismo perché sia la madre che il parroco lo credono posseduto dal demonio. E poi c’è l’identità di un Paese, la Polonia, occupata a stabilire la sua fede nella pietra, grazie all’impegno congiunto di una Chiesa potentemen­te presente e di un governo che con essa convive. L’esempio è il colossale monumento dedicato a Cristo a Swiebodzin: è proprio durante la sua costruzion­e che il protagonis­ta ha avuto l’incidente. Quello che emerge dal film è l’immagine di un Paese vinto dall’idea economica e narcisisti­ca del vivere; purtroppo la regista si è fermata alla superficie di ogni tema, senza mai approfondi­re, si riesce anche a sorridere, così perché i film devono divertire e non essere mai troppo seri. Perfetta è la fine del Concorso con un film allucinant­e quale è ‘In den Gängen’ (Nei corridoi) di Thomas Stuber che racconta il cammino di iniziazion­e di un magazzinie­re che dopo più di due ore e il suicidio del suo superiore, diventa capomagazz­iniere. Non succede altro e anche il suicidio non diventa drammatico: la noia vince e il cinema va a nasconders­i lontano da Berlino.

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