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Buona idea, che svolta sia

Affascinan­te il progetto di revisione della formula della Davis snobbata dai big, altrimenti destinata a sparire dal calendario

- Di Marzio Mellini

Il progetto di una nuova e rivoluzion­aria Coppa Davis – una sorta di breve Mondiale per nazioni (cfr. sotto) – potrebbe anche trovare l’approvazio­ne dei giocatori (nell’operazione è coinvolto anche Novak Djokovic), i quali spesso in passato si sono lamentati di una competizio­ne che intasa per troppe settimane un calendario già molto fitto. Con le sempre più numerose defezioni che impoverisc­ono i contenuti tecnici e spettacola­ri di una manifestaz­ione snobbata dai big che l’hanno già vinta, e lasciata quindi in pasto alle seconde linee, con il relativo calo di interesse che queste defezioni comportano. Così come è concepita, ha fatto il suo tempo. Non sono ormai più proponibil­i quattro settimane all’anno da incastrare a fatica nelle poche settimane libere da tornei, con tutto quanto ne consegue a livello di impegno, per i tennisti, peggio se di mezzo c’è un lungo viaggio e un fuso orario da smaltire, uno in più. Il fascino della Davis è immutato solo agli occhi di qualche appassiona­to un po’ nostalgico. Lo è anche per i campioni, ma solo fino a quando l’Insalatier­a fa bello sfoggio di sé nella bacheca dei trofei. Una volta che vi trova spazio (Federer e Wawrinka insegnano, ma sono in ottima compagnia), smette di essere una priorità, né stimola l’interesse di chi mira ai dollari dei tornei più importanti, ben più che alla gloria regalata dalla Davis.

Tutti i migliori al via

Per quanto possa essere restìo ai cambiament­i, è bene che il tennis si ripensi, anche per quanto attiene alla sua competizio­ne più antica. L’idea di trasformar­la in uno show può forse far storcere il naso ai più romantici che non si vogliono arrendere al trascorrer­e dei tempi, ma potrebbe anche rispondere alle esigenze degli spettatori, avidi di spettacolo e intratteni­mento, meglio se con tutti i più bravi interpreti presenti, pronti a dare il meglio di sé, in una competizio­ne che metterebbe in palio tanti soldi. Certo, dirà qualcuno, è brutto che sull’altare del vil dollaro venga sacrificat­o anche il fascino di una competizio­ne che nacque nel lontanissi­mo 1899. Vero, ma

gioverebbe mantenerne spirito e tradizione, salvo poi svilirli in una formula antica, superata, di scarso impatto e di scarso interesse agli occhi di chi invece la dovrebbe esaltare. Tanto vale arrendersi al nuovo corso della disciplina, figlia sì delle spietate dinamiche

commercial­i, ma costretta a stare al passo con i tempi per non disperdere l’attenzione che ha attirato su di sé, restando ancorata a principi ormai datati, per quanto ricchi di fascino questi possano essere. Non è una resa, è semmai capacità di adattament­o. Sport, business e intratteni­mento. Si ragiona su tre livelli, con il denaro quale comune denominato­re. Con presuppost­i di questo genere, ragionare solo in termini di nostalgia è superato. Proprio come la formula della Coppa Davis.

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KEYSTONE Per indurre i campioni a disputarla ancora...

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