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Quei persistent­i ‘giudici stranieri’

- Di Stefano Guerra

«Ognuno vuole i suoi giudici. Nessuno [né la Svizzera né l’Unione europea, ndr] vuole giudici stranieri». L’affermazio­ne è di Ignazio Cassis. Fa capire quanto il ministro degli Esteri e l’intero Consiglio federale – dopo anni di martellant­e discorso dell’Udc – siano ancora oggi sulla difensiva. ‘Reset’ comunicati­vo, era la promessa. Ha un bel dire il ticinese: nemmeno sul piano semantico è facile premere un bottone, togliere di mezzo quelle parole ‘avvelenate’ che tenacement­e dettano i termini del dibattito sulla politica europea, per poi ripartire da zero, forti di altri vocaboli.

Segue dalla Prima I ‘giudici stranieri’ non scompaiono per incanto. Neanche dal tavolo dei negoziati. Per intenderci: quelli sull’‘accordo quadro istituzion­ale’, che ora – per vantare meglio i vantaggi che la Svizzera trae dai Bilaterali – viene chiamato ‘accordo generale di accesso al mercato’ unico europeo. Le trattative si trascinano stancament­e da più di quattro anni. Il Consiglio federale ha interesse a sbloccarle. L’Ue altrimenti non amplierà le possibilit­à di accesso della Confederaz­ione al mercato unico europeo. Il governo ora propone di far capo a un tribunale arbitrale indipenden­te. In caso di controvers­ie, potrebbe essere chiamato a decidere come dev’essere interpreta­ta la parte di diritto comune (o ‘sui generis’) contenuta negli accordi bilaterali. Niente più ‘giudici stranieri’, dunque? Calma. Per tutto il resto, ovvero le norme di diritto europeo e quelle elvetiche, vale appunto la regola: a ognuno i suoi giudici (se si tratta di interpreta­re una norma di diritto europeo, entrerà quindi in gioco la Corte di giustizia dell’Unione europea-Cgue). L’Ue, ha insistito Cassis, in linea di principio è d’accordo con questa soluzione detta ‘arbitrale’ (l’idea invero è stata avanzata dal presidente della Commission­e europea Jean-Claude Juncker in occasione della sua ultima visita a Berna). Ma «il diavolo si nasconde nei dettagli», ha ricordato il ministro degli Esteri. Tutta la questione sta nel definire cosa c’è, in un accordo, di diritto comune, di diritto europeo e di diritto svizzero. E quindi dove si situa, in un caso concreto, il confine tra il primo e gli altri due. In altre parole: quale sarà il raggio d’azione del tribunale arbitrale, e quale quello della Cgue. Una cosa è certa: quest’ultima – che comunque nemmeno nel mandato negoziale adottato dal Consiglio federale nel dicembre 2013 avrebbe avuto l’ultima parola in caso di controvers­ia – avrà un suo posto all’interno del futuro, eventuale accordo quadro. Altre certezze: le misure di accompagna­mento alla libera circolazio­ne non sono in discussion­e; e la Svizzera non riprenderà la direttiva europea sulla cittadinan­za. Ribadendo queste ‘linee rosse’, il Consiglio federale evita di prestare ulteriorme­nte il fianco ad attacchi sul fronte interno, da parte di sindacati e forze politiche nazionalis­te, e non solo. Un’operazione che sembra riuscita per il momento, stando alle prime reazioni, sostanzial­mente positive, provenient­i dai partiti (Udc esclusa, ma non si può pretendere troppo). Ci vorrà ben altro per concludere entro fine anno (questo l’obiettivo) un accordo istituzion­ale con l’Ue. La Commission­e europea ha sì constatato la “ferma volontà” del governo svizzero di progredire sui punti di contrasto ancora aperti. Al contempo, ha però citato tra questi il ruolo della Cgue (ieri a Berna rimasta nell’ombra del ‘tribunale arbitrale indipenden­te’...) e gli aiuti statali (sovvenzion­i, agevolazio­ni fiscali, partecipaz­ioni aziendali), una questione sin qui rimasta sottotracc­ia, ma foriera di possibili tensioni tra Confederaz­ione e Cantoni. Per dire: non ci sono soltanto i ‘giudici stranieri’ a rendere tortuosa la via bilaterale.

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