Nomi e suoni di un fenomeno
A vent’anni dalla dance che ha invaso e fatto ballare tutto il continente, Milano e le altre città industriali del Nord Italia tornano a dettare legge in tema musicale. Sfaccettature dell’ondata trap che ha conquistato milioni di Millennials a suon di vis
“Felice di fare musica per ragazzini”. Scorre via nascondendosi fra un ritornello martellante e frasi ad effetto, ma questo passo di ‘Cara Italia’ di Ghali è emblematico del successo e della mentalità che la nuova generazione di rapper italiani sta avendo da un paio d’anni. Numeri alla mano, Sfera Ebbasta – che si è esibito lunedì in uno showcase a Lugano – e gli altri stanno infrangendo tutti i principali record della discografia digitale. Off limits per i maggiorenni, che stanno imparando a conoscerli a scoppio ritardato, i rapper intanto vanno chiamati trapper. Il genere musicale in cui si identificano infatti è la trap. Nata negli Stati Uniti del Sud con l’arrivo del nuovo millennio, la nuova corrente diventa mainstream a partire dal 2010. Caratterizzata da una ritmica particolare e inconfondibile e da una spiccata musicalità, che – a differenza del rap più tradizionale – la rendono spendibile anche nei club e nelle discoteche non di genere, la trap comincia a far timidamente capolino in Italia dal 2013. In concomitanza con lo sviluppo dei servizi che offrono musica via streaming – Spotify su tutti – e con il sostegno di portali come YouTube, si compie una rivoluzione.
Dopo dieci anni di dominio dei talent, uno tsunami capace di bloccare Emma, Francesca Michielin e Annalisa
Carisma, testi immediati, immagine efficace e faccia tosta, brani orecchiabili. Questi gli ingredienti coi quali i trapper cambiano i connotati al sofferente mercato discografico del Belpaese. Sfera, Ghali e gli altri svecchiano la musica per giovani, in mano esclusivamente – o quasi – da un decennio circa ai figli dei talent. E li bloccano. Le ultime uscite discografiche di Emma, Francesca Michielin e della sanremese Annalisa (rispettivamente ‘Essere qui’, ‘2640’ e ‘Bye Bye’) sono state bloccate da Sfera Ebbasta e da Nitro, impedendo alle pupille di Amici e X Factor di agguantare la prima posizione della classifica. È una generazione che ha fatto breccia nei cuori e nelle cuffie di milioni di adolescenti italiani, un vero e proprio fenomeno di costume. Non lo testimoniano soltanto le classifiche – dove il solito Sfera sta dominando coi singoli e in generale con tutte le canzoni dell’album uscito a gennaio, e dove pressoché ogni nuova entrata trap schizza al vertice –, ma anche il forte attaccamento dei fan. Il Ticino ne ha avuto un assaggio poche settimane fa al Centro Lugano Sud di Grancia, ma la grande partecipazione e le scene di quasi isteria sono ormai diventate ricorrenti in tutta Italia, in occasione di ogni firmacopie o concerto che coinvolga uno di questi idoli del 2018. Immagini che ricordano l’idolatria di cui godevano le boyband degli anni Novanta o ancora prima la Beatlemania. Una platea di giovanissimi (cfr. correlati), di cui andar orgogliosi. Lo canta Ghali, lo ribadisce Sfera nella nostra intervista, non lo smentiscono gli altri. Se una volta, per il mondo rap e hip hop in particolar modo, essere accusati di fare “musica da ragazzini” poteva suonare quasi come un’offesa – malgrado fosse la verità –, oggi le cose sono diverse. Che sia a causa del compimento di quel processo iniziato molti anni fa – che ha riconosciuto negli adolescenti un target commerciale privilegiato – oppure per un ideologico guanto di sfida alle precedenti generazioni di rapper, i trapper sono di fatto portatori di una sorta di teen pride. E questo con buona pace di genitori ed educatori. Il disagio sociale – da cui molti di loro provengono, figli della periferia meneghina –, l’amore ai tempi dei social, la voglia di rivalsa, le abitudini quotidiane dei Millennials. Accanto a questi temi principali, non c’è trapper che si rispetti che non tocchi la spinosa e controversa, considerata anche l’età dei fruitori, questione della droga. Il tema fa parte del Dna stesso della trap, il cui nome per esteso – come ricorda il web – è trap house. Si riferisce alle case abbandonate in cui si spaccia. La parola trapping in slang urbano vuol inoltre dire proprio spacciare. La trap è quindi una musica nata in un determinato ambiente, con cui ha dei legami specifici che si ritrovano nei testi cantati, anche se questi rapporti oggi si sono dissolti. E anche in italiano. La domanda a questo punto – e forse mai come finora – sorge spontanea. Quanto è eticamente sostenibile che un fenomeno musicale di questa portata, dichiaratamente consapevole del proprio pubblico di riferimento, tratti così apertamente e frequentemente temi delicati come la droga, il sesso e i soldi facili? Una domanda destinata probabilmente a restare aperta, se non a esaurirsi assieme all’onda musicale che l’ha provocata. Nell’attesa che ciò accada, non ci resta che riflettere su questo fenomeno che ha spostato l’asticella nella discografia italiana, intonandone uno dei molti successi.