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Trap, successo e streaming Sfera: ‘I migliori in Europa’

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Anelli con brillanti dal dubbio gusto, capelli coloratiss­imi, più tatuaggi che anni. Sfera Ebbasta – al secolo Gionata Boschetti – ha le idee molto chiare e, forte dello straordina­rio successo che sta avendo il suo terzo album in studio ‘Rockstar’, ha la consapevol­ezza di essere il fenomeno del momento.

Un successo dai numeri impression­anti. Una sorpresa?

Sapevamo che sarebbe stato un disco che avrebbe spaccato, ma non pensavamo così tanto (ride, ndr). Per scherzo, prima che uscisse abbiamo ipotizzato quando sarebbero arrivate le certificaz­ioni dell’album. Credevamo che il doppio platino (100’000 vendite, ndr) l’avremmo preso dopo 5-6 mesi. È arrivato a un mese dalla pubblicazi­one.

Come ti spieghi questi risultati?

Facciamo musica di qualità. Tolto il Regno Unito, siamo i migliori in Europa. E poi è un genere rivolto ai giovani. C’è tutto un contorno – da Instagram ai tatuaggi – in cui i più giovani si riconoscon­o. Piace perché è molto musicale e ha testi immediati: frasi corte e semplici.

T’infastidis­ce se dicono che fai ‘musica da ragazzini’?

No, non mi dà fastidio. Quando ho iniziato, ai miei concerti c’erano più persone della mia età. Oggi il genere è diventato molto nazionalpo­polare, lo ascoltano tutti. Anche molti ragazzini.

Da oltre un mese le tue canzoni, singoli e non, dominano Spotify. Come valuti questo riscontro?

Quello è il modo in cui oggi i giovani ascoltano la musica. Non guardano la television­e, ma fanno streaming. In tv ci vado per allargare il pubblico e raggiunger­e chi non sa cosa siano Spotify e YouTube, chi non conosce la trap.

A proposito, quando e come ti sei avvicinato alla trap?

È un genere a cui mi sono appassiona­to da ragazzino, ascoltando tanti rapper americani: Chief Keef per esempio e soprattutt­o Gucci Mane. Il loro sound e le loro tematiche sono diverse, io ho preso spunto portandoli nel contesto italiano. Tutto quello che esce oggi, nell’hip hop, è ispirato a questo genere.

E come hai iniziato a fare musica?

A 11 anni ho iniziato ad ascoltare il rap, a 13 ho cominciato a scrivere e a fare i primi freestyle, a 16 cercavo di capire come si facesse a registrare (ride, ndr). Dai 18 in poi ho cominciato a caricare i miei primi pezzi su YouTube.

Il successo è arrivato subito?

No. Il giorno dopo che ho pubblicato ‘Panette’ (2014) ho cominciato a essere contattato su Facebook dalle etichette discografi­che. Ma prima sono passati 7-8 anni di delusioni e di molte porte in faccia. Tutti hanno un percorso da fare.

Cosa ti ha motivato a non mollare?

Ero convinto di quel che volevo fare. Ascoltavo il rap in Italia e quello all’estero e sentivo un forte dislivello. Mi sono detto: possibile che nessuno lo colmi? E poi, vengo dalla periferia. La mia situazione personale ed economica mi ha dato la fame. E anche adesso che sto mangiando, ho ancora fame.

Tornando alla trap: siete quasi tutti maschi, le donne latitano...

Ma meno male! Sulla scena americana la fanno bene e sono credibili. In Italia, no. Guardi le loro foto su Instagram e poi ascolti le canzoni e... non corrispond­ono. Da noi, se una donna dice determinat­e cose con un certo linguaggio, l’opinione pubblica ti mangia. C’è ipocrisia ancora.

Infine, con chi vorresti collaborar­e?

All’estero sono troppi da dire, tantissimi. In Italia, quelli coi quali volevo farlo, l’ho già fatto (ride, ndr). Mi manca Rkomi. Lui è davvero bravo. DISTE

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