Due Giusti fra Roma e Lugano
L’intervista / Cornelio Sommaruga oggi all’Usi ricorderà l’impegno dei suoi genitori in difesa degli ebrei
Nel Giardino che al Parco Ciani accoglierà il ricordo di chi si è distinto per il proprio impegno umanitario, anche Carlo Sommaruga e sua moglie. Nell’Italia occupata dai nazisti, mentre l’Europa bruciava, un esempio di sensibilità e coraggio.
Quando lo hanno chiamato, ci dice, è rimasto molto meravigliato, tanto nutrito il numero delle persone che nel mondo si sono dedicate a chi aveva più bisogno. Eppure, Cornelio Sommaruga non nasconde il suo orgoglio per l’omaggio rivolto dalla Città di Lugano e dalla Fondazione Spitzer ai suoi genitori, Carlo Sommaruga e Anna Maria Valagussa, la cui memoria verrà accolta nel Giardino dei Giusti che verrà inaugurato al Parco Ciani il 26 aprile. Oggi alle 18 Sommaruga sarà all’Auditorio dell’Università a Lugano, con il rettore Boas Erez, Renata Broggini e Pietro Montorfani. Nato nel 1932 a Roma, ricordato fra le tante cose per la sua presidenza del Cicr fra il 1987 e il 1999, neanche oggi Sommaruga viene meno alle sue responsabilità di diplomatico. Presidente onorario della Fondazione Iniziative e cambiamenti e del Centro internazionale per lo sminamento, è regolarmente sollecitato a livello accademico: «Non posso riposarmi molto, devo leggere per tenermi aggiornato su quanto accade nel mondo». Nonostante gli impegni, non ha voluto mancare l’appuntamento luganese. Si tratta di ricordare i suoi genitori e il loro impegno al servizio di ebrei e antifascisti durante la seconda guerra mondiale, quando suo padre era diplomatico a Roma e sua madre era partita per Lugano. Un’attività testimoniata dal carteggio fra i due coniugi, conservato all’Archivio federale di Berna.
Già nel 1942, prima di partire da Roma, avevo scoperto che cosa voleva dire la parola ‘ebreo’
In che modo hanno agito i genitori di Sommaruga? «Ci sono due aspetti. Il primo è stato l’accoglienza data da mio padre nel suo appartamento, grande e vuoto, a persone e famiglie ebree. Inoltre, visto che lui viveva accanto alla Villa Maraini di sua zia, ha fatto sì che anche la villa venisse riconosciuta come extraterritoriale. In sostanza ha chiesto ad al-
cuni funzionari di abitare lì e ha insediato nella villa degli archivi della legazione, permettendo così a molti perseguitati dai nazisti, non solo ebrei, di installarsi lì. Il momento più difficile fu tra la caduta del fascismo, nel luglio 1943, e la liberazione nel giugno 1944, quando Roma era in mano ai nazisti». C’è poi il servizio prestato dalla madre di Sommaruga, attiva da Lugano: «Il secondo aspetto fu il coinvolgimento di mia mamma, attraverso la corrispondenza del corpo diplomatico, in modo da facilitare l’arrivo e l’assistenza in Svizzera di ebrei del Nord Italia, oltre allo scambio d’informazioni fra chi aveva passato il confine e chi era restato in Italia».
Sommaruga all’epoca aveva 11-12 anni: era consapevole di quanto stava accadendo? «Direi di sì, perché mia madre ci leggeva le lettere di mio padre. Nelle sue parole si sentivano le conseguenze delle leggi razziali. Già nel 1942, prima di partire da Roma, avevo scoperto che cosa voleva dire la parola “ebreo”, i miei genitori ne parlavano spesso a casa. Una volta in Svizzera, vedevo le persone che mia madre accoglieva in casa, fra cui esuli noti come la famiglia Cadorna». L’attività di Carlo Sommaruga non è stata immune da rischi, infatti figurava sulla lista di proscrizione del famigerato colonnello Herbert Kappler. Poco tempo fa, nominata senatrice a vita, Liliana Segre ha ricordato la sua deportazione
verso Auschwitz, dopo essere stata sdegnosamente respinta alla frontiera di Stabio (quando aveva soli 13 anni). La storia dell’accoglienza svizzera in quegli anni resta controversa: qual è stata la collaborazione trovata da Anna Maria Valagussa? «Sono stati determinanti i legami che mia madre aveva con alcune personalità ticinesi, che garantivano una certa complicità da parte delle guardie di confine. Nonostante una certa resistenza, le statistiche su chi veniva accolto in Svizzera dicono che un terzo degli internati erano ebrei. Le frontiere durante la guerra erano più permeabili di quanto dicesse il Rapporto Bergier. Io stesso, quando ho potuto aprire gli archivi del Cicr, ho parlato con alcuni fran- cesi che hanno scoperto quanti loro connazionali ebrei sono entrati in Svizzera». La storia dell’impegno clandestino a sostegno degli esuli, ebrei o antifascisti, è però difficile da ricostruire in tutta la sua portata, tanto è legata alla buona volontà dei singoli, spesso nell’anonimato. Lo stesso Sommaruga rievoca una storia per lui importante: «I miei suoceri, Marino e Anna Marzorati, mi raccontavano di come, dalla loro casa sul Ceresio ad Albogasio, erano partiti diversi ebrei; i fratelli di mia moglie remavano con la barca di famiglia durante la notte per fargli passare la frontiera di Gandria. Oltre confine un cugino si occupava della loro accoglienza in Svizzera».
Le frontiere durante la guerra erano più permeabili di quanto dicesse il Rapporto Bergier
Paradossalmente, nel 2002, all’epoca di un’inchiesta Onu sul bombardamento del campo profughi di Jenin, Sommaruga è stato dichiarato persona non gradita dallo Stato d’Israele... La Storia sa essere paradossale, e gli uomini che la fanno opportunisti o semplicemente ignoranti? «Kofi Annan aveva creato una commissione d’inchiesta, dovevamo partire quando uscì sul ‘Gerusalem Post’ un articolo anti-Sommaruga, secondo il quale io ero il peggior antisemita perché durante la guerra mondiale il Cicr non aveva mai denunciato lo sterminio nei campi nazisti. La cosa interessante è che sullo stesso giornale c’era chi mi difendeva. Purtroppo in Israele ci sono fronde che sanno portare attacchi molti forti; quel che è certo è che gli israeliani, a torto, non volevano un’inchiesta esterna. Per me, però, sentirmi dare dell’anti-semita dopo quello che hanno fatto i miei genitori, è stato molto duro». Sommaruga, in tutta la sua parabola di diplomatico, ha identificato se stesso e il suo Paese anzitutto nello spirito umanitario di cui ha dato prova la sua famiglia. Che cosa ne è oggi di quella sensibilità, sociale e politica, che ha segnato gli anni del secondo dopoguerra? «Non credo sia presente con la stessa intensità. Per quanto mi riguarda, mi è sempre rimasta l’ossessione della persecuzione degli ebrei. Ma non sono entrato nel mondo del lavoro umanitario in conseguenza dell’attività dei miei genitori, l’ho ritrovata quando sono venuti a cercarmi dal Cicr e poi ho letto delle accuse di inazione rivolte al Cicr. Ne parlerò a Lugano»...