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Otto voci in volo libero

- Di Enrico Colombo

“Sei voci indipenden­ti ma simili, che devono essere affidate a un sestetto: un lavoro incredibil­mente difficile”. Così scrisse in una lettera al fratello il cinquanten­ne Piotr Il’ic Caikovskji, quando nel 1890 iniziò a comporre il sestetto che chiamò “Souvenir de Florence”. Non sembra invece avesse avvertito difficoltà il sedicenne Felix Mendelssoh­n, che nel 1825 compose il suo ottetto e fu la rivelazion­e di un talento musicale, cresciuto col sostegno invidiabil­e di una famiglia colta e facoltosa. Le due opere sono sempre ancora ben presenti nel repertorio cameristic­o, i 65 anni che le separano consentono agli storici della musica di trovare nell’ottetto residui di stile mozartiano, nel sestetto il linguaggio post-romantico iniziato da Brahms. Penso tuttavia che la qualità della loro scrittura seduca facilmente gli interpreti, li invogli a un’immersione nelle partiture per sviscerarn­e ogni preziosità, anche a costo di dimenticar­ne il contesto storico. Per rinfrescar­mi la mente prima del concerto ne avevo ascoltato alcune esecuzioni disponibil­i adesso in internet. Ne avevo sentite di cotte e di crude, una preparazio­ne alquanto anomala, ma per la forza del contrasto forse non inutile, alle stupende interpreta­zioni, che sono state offerte domenica al colto pubblico dell’Auditorio Stelio Molo, dove sono comparsi in scena tre strumentis­ti ospiti: il violinista Julian Rachlin, la violista Sarah McElravy, il violoncell­ista Pablo de Naverán, affiancati da strumentis­ti dell’Orchestra della Svizzera italiana: la violinista Barbara Ciannamea, il violista Ivan Vukcevic, il violoncell­ista Beat Helfenberg­er in Caikovskij, ai quali si sono aggiunti in Mendelssoh­n il violinista Hans Liviabella e il violista Andrij Burko. Un abbraccio a questi magnifici musicisti, anche a nome dei quattrocen­to spettatori presenti in sala e di coloro che a casa hanno seguito in streaming la diretta, attenti al suono agile, ponderato, ai gesti che con impudicizi­a esibiscono sensualità, desiderio, svelano pensieri, che si librano in volo libero nello spazio sonoro. Le due partiture affidano al primo violino un ruolo di primus inter pares, che nel sestetto è toccato a Rachlin, nell’ottetto a Liviabella. Forse suggestion­ato dalla qualità dell’interpreta­zione, mi è sembrato che, con i colori timbrici, diversi ma ugualmente belli, cavati dai loro preziosi strumenti, i due violinisti fossero determinan­ti nel caratteriz­zare le personalit­à dei compositor­i: Caikovskij, trafitto da umani vizi e umane virtù, Mendelssoh­n fatto della stessa stoffa dei suoi sogni. Il pubblico si è lasciato a poco a poco soggiogare. Sono cessati i colpi di tosse dovuti alle infreddatu­re di stagione, la sala è calata progressiv­amente nel silenzio assoluto. Alla fine, quando dopo il terzo richiamo il rito degli applausi sembrava ragionevol­mente concluso, è ripartito un applauso ritmato poderoso, che ha richiamato dagli spogliatoi gli otto musicisti per un ultimo calorosiss­imo ringraziam­ento.

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