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La scuola che speriamo non verrà

- Di Piero Marchesi, presidente Udc Ticino

Il progetto “La scuola che verrà” del consiglier­e di Stato e direttore del Dipartimen­to dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs), Emanuele Bertoli, non è solo sbagliato, ma pure controprod­ucente. La legge che disciplina l’educazione in Ticino risale al 1990, una revisione è certamente auspicata per migliorare la qualità dell’insegnamen­to. Non vi è alcuna preclusion­e del mio partito a un’entrata in materia, soprattutt­o se non imposta dall’altro come invece (...)

(...) fatto dal Dipartimen­to e se attuata attraverso un coinvolgim­ento del corpo insegnanti, degli specialist­i del settore e della politica, che ha il compito di promuovere il dibattito e poi, infine, trovare la miglior soluzione. Questa pressante modalità d’azione sembrerebb­e essere dettata più dall’imminenza delle prossime elezioni cantonali piuttosto che dal buon senso. Bisogna riconoscer­e a Bertoli di aver avuto il coraggio di proporre una riforma, evento sempre meno presente a queste latitudini, ma il tema è talmente importante che non può essere forzato ignorando le molte criticità e contrariet­à espresse dai docenti, dagli specialist­i del settore e dai genitori. “La scuola che verrà” prevede l’eliminazio­ne dei livelli di insegnamen­to e un’educazione alla carte, dove l’allievo potrà decidere quali materie preferire e quali tralasciar­e. Inverte il concetto di parità di partenza di ogni singolo allievo con la parità di arrivo, questo sarà il grimaldell­o per uniformare qualitativ­amente tutti gli allievi verso il basso, invece di aiutarli ad ottenere il massimo in base alle singole potenziali­tà. Oltre a ciò il progetto privilegia le competenze sociali e minimizza quelle istruttive. Come se non bastasse, conferisce ulteriore potere centralist­a al Dipartimen­to che potrà imporre, regolare e standardiz­zare l’educazione cantonale in modo eccessivo, relegando i Comuni a fare da semplici spettatori paganti, penalizzan­do inoltre le scuole private che forniscono una valida complement­arietà alla scuola pubblica. Questa impostazio­ne non può evidenteme­nte essere condivisa perché, in un mondo del lavoro sempre più selettivo verso i meno preparati e formati, aumenterà ancor di più il fossato tra il mondo dell’educazione e l’economia privata. Mal si comprende la spettacola­re e riprovevol­e giravolta del Plr e del Ppd, che fino a qualche settimana fa erano ferocement­e contrari al progetto e che, dopo aver ottenuto un paio di concession­i da Bertoli con la sperimenta­zione anche di un modello alternativ­o, si sono ammansiti e dichiarati pronti a sostenere il credito di oltre 6 milioni di franchi che il Parlamento sarà presto chiamato a votare. L’Udc e il nostro gruppo parlamenta­re La Destra hanno ben altre aspettativ­e sul tema, presentand­o un’iniziativa parlamenta­re dal nome “La scuola che vogliamo”, sono state messe sul tavolo alcune proposte che meritano di essere prese in consideraz­ione. Non si possono saltare a piedi pari – senza la minima discussion­e politica e commission­ale, un’iniziativa elaborata che prevede la modifica di ben 34 articoli della Legge scuola, le risposte della consultazi­one e l’esito dei due sondaggi della consultazi­one – per mandare avanti una sperimenta­zione autorefere­nziale affidata a Istituti scolastici con direttori che sostengono a priori la proposta Bertoli. Teniamo poi conto che essendo confusiona­ria nei contenuti, nei metodi e negli obiettivi, l’ansia e le giustifica­te paure di genitori, allievi e docenti meritano ben altro approccio e rispetto. Affinché si possa elaborare una sana riforma della scuola, che permetta veramente di migliorare la qualità dell’istruzione e di conseguenz­a ottenere una migliore preparazio­ne dei nostri giovani all’entrata nel mondo del lavoro, sempre più duro e selettivo, speriamo che “La scuola che verrà” non venga mai.

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