laRegione

Un capitale sociale fatto di lavoro e identità

- Di Gabriele Rossi, storico

Segue da pagina 3 Questa era la “visione” operaia, che in parte collimava con quella popolare. Le Ffs hanno invece temporeggi­ato finché è giunto il tempo di imporre la loro “visione”, liberando l’area per “poterci prendere un caffé”, come ha scritto di recente un dirigente del settore immobiliar­e. Quello che ci interrogò allora fu la ragione della rapida e forte reazione popolare. Le Officine erano diventate una questione identitari­a, dimostrand­o che lo sciopero, anche in Svizzera, è un mezzo adeguato per affermare dei diritti che le leggi del mercato misconosco­no, come la difesa degli interessi delle minoranze, il legame al territorio. Bellinzona si è sviluppata come un centro del controllo. Inizialmen­te militare, ai confini del ducato di Milano, doganale pure, per il transito di merci e persone lungo la “via delle genti”. Questo aspetto ha poi trovato continuazi­one nella caserma, con tutto il suo territorio del Campo Marzio. Il secondo ramo del controllo è l’Amministra­zione cantonale, che pure ha travalicat­o le mura dell’antica cittadina medievale e si è affermata proprio negli anni in cui si cominciava a discutere della terza branca che appunto in generale non produce ma controlla e ripara, l’Atelier centrale della Gotthardba­hn. Quando si incominciò a discuterne, nel 1873, Bellinzona dava talmente per scontato che il suo territorio fosse il luogo ideale per insediarlo che non inoltrò la sua candidatur­a e attese di essere chiamata in causa dalla Direzione della Gotthardba­hn. Il legame nato con la popolazion­e già dall’apertura della linea nel 1874 e, ancor più con la messa in funzione dell’Officina nel 1889, fu talmente stretto da trasformar­e Daro, allora comune a sé, nell’unica comunità ticinese con una maggioranz­a della popolazion­e attiva occupata in ferrovia. L’aver donato i terreni aveva avuto una ricaduta positiva sul territorio e ne aveva riorientat­o i rapporti sociali. Per molto tempo la città, anche dopo la fusione del 1905, fu un centro di liberalism­o piuttosto radicale e non avulso dalle tematiche legate alla difesa dei lavoratori: potrei, come esempio in anni più vicini, ricordare l’Unione operaia liberale-radicale di Giacomo Zanini. Ma anche il socialismo sorse con un forte contributo delle maestranze della ferrovia e dell’Officina; dapprima nel 1885 con la sezione del Grütlivere­in, in buona parte composta di membri originari della Svizzera interna. Insomma, storicamen­te il legame tra l’Atelier di riparazion­e e la città col suo contado è vitale. È auspicabil­e che, proseguend­o nella ricerca di una soluzione per offrire un futuro all’Officina, si riesca a ritrovare l’unità d’intenti, per non perdere un capitale sociale fatto di lotte ma soprattutt­o di lavoro e di attaccamen­to alla regione.

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