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C’era una volta il Nano

- Di Matteo Caratti

Cinque anni fa moriva improvvisa­mente Giuliano Bignasca, il padre padrone della Lega, l’imprendito­re che decise di buttarsi in politica per via di uno sgarbo, che seppe prima di tutti intercetta­re l’arrivo dei venti tempestosi della globalizza­zione che avrebbero scombussol­ato il mercato del lavoro e tante altre nostre abitudini e certezze. La sua Lega – e prima ancora il suo Mattino – nacquero in controtend­enza, rispetto ai partitoni tradiziona­li che stavano avviando il loro ridimensio­namento/declino. Mentre liberali, pipidini e socialisti accusavano le prime perdite e le loro storiche testate quotidiane si trasformav­ano nella migliore delle ipotesi in settimanal­i, per la Lega fu un successo elettorale dietro l’altro, anche grazie alla grancassa domenicale. Giuliano Bignasca (affiancato da un non meno spregiudic­ato Flavio Maspoli) abituò il Ticino a un linguaggio politico a tratti triviale, a campagne stampa dissacrant­i e pure offensive, subì processi penali vestendosi alla Di Pietro con tanto di pistola ad acqua sfoderata in aula. Quando venne eletto a Berna si presentò al Nazionale col piccone. Spedì in parlamento a Bellinzona la pornostar Sandy Balestra, scimmiotta­ndo la Cicciolina dei radicali italiani. Al Nano – lo dice uno che è finito non poche volte in caricatura sul Mattino ed è risaputo che fra noi e il domenicale non sono mancate le scintille e le cause giudiziari­e – non potevi comunque voler male. Era sempliceme­nte un miscuglio di genio (con tanto fiuto politico) & sregolatez­za (tanta) e anarchia. Quel genio che lo faceva anche cambiare repentinam­ente tematica quando sentiva che stava procedendo su un binario morto. Cosa distingue dunque la sua Lega da quella odierna? Parecchie cose. Egli è stato all’opposizion­e per alcuni anni, convinto comunque che il successo prima o poi sarebbe arrivato, perché la globalizza­zione, la libera circolazio­ne (con le migliaia di frontalier­i in crescita a cui era lui il primo a dare lavoro nell’edilizia) e le migrazioni, erano tutti fattori dirompenti che macinavano per lui. E lo hanno effettivam­ente fatto. Ci ha sempre messo la faccia e i soldi mentre operava di sfondament­o. Ha beneficiat­o di mille confidenze raccolte fra chi voleva far fuori amici (politici) e amici degli amici, salvo poi utilizzarl­e, quando divenne sufficient­emente forte, per ricattare anche i suggeritor­i. Oggi invece abbiamo una Lega senza leader, ma con tanti colonnelli. Alcuni alla guida della città sul Ceresio; altri (pochissimi) in parlamento; due in governo; uno alla testa del Mattino. Altri ancora dietro le quinte, il cui potere è comunque enorme, visto che tengono i cordoni della borsa. Politicame­nte, la mancanza di un leader in un movimento, visto anche il potere oggi detenuto, genera incertezza. C’era una volta il Nano e ci sono oggi tanti nanetti. Capita – è un esempio – che fino all’ultimo non si sappia quale sia la vera posizione leghista, come recentemen­te quando il domenicale sparava alzo zero contro Paolo Beltramine­lli, mentre Norman Gobbi e Claudio Zali non facevano una piega. Ma questa è anche la forza della Lega: nutrire contempora­neamente la piazza e gestire il Palazzo, utilizzand­o persone e linguaggi diversi. La surfata sulla cresta dell’onda, pur in un certo caos che non fa bene al cantone (abituatosi presto a lagnarsi e ad attribuire le colpe di quel che succede agli altri, anziché ad essere positivo e propositiv­o), non è ancora finita. Se l’Italia mostra la via, come già avvenne ai tempi del Nano con la Lega Nord, speriamo di non imboccarla.

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