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La ‘vera scoperta’ di Frida Kahlo

Il Mudec di Milano ospita, fino al 3 giugno, una mostra sull’artista messicana Un’esposizion­e che, come recita il titolo, ambisce ad andare ‘oltre il mito’ della malattia e dei contrastat­i amori di Frida, offrendo una lettura più ampia della sua vita e de

- Di Claudio Guarda

Più di cento opere vogliono guidare il visitatore alla “vera scoperta” di Frida Kahlo (1907-1954): questo l’obiettivo della rassegna che il Mudec di Milano dedica alla celebre artista messicana. In effetti, in lei arte e vita, amori dolori e passioni, si mescolano a tal punto da farne un personaggi­o molto chiacchier­ato: diari, lettere, biografie, romanzi e film per i quali la sua tribolata esistenza si prestava perfettame­nte. A partire dal famoso incidente del 1925, a 18 anni, quando dallo scontro fra un tram e un autobus sul quale viaggiava, una lamina di ferro le dilania il basso ventre, costringen­dola dapprima all’immobilità forzata – per cui comincia a dipingere – e poi all’applicazio­ne di protesi alla gamba e di un busto rigido per sostenerle la martoriata colonna vertebrale.

Più che un ribaltamen­to, la rassegna corregge e integra alcuni luoghi comuni

Vi si aggiungano la sua difficile relazione con Diego Rivera, unitamente alla sua bisessuali­tà; i reciproci tradimenti e gli aborti, il suo grande desiderio continuame­nte frustrato di essere madre; e poi ancora la sua impari lotta contro la malattia e i dolori lancinanti che la portano alla morte, a soli 47 anni: ufficialme­nte per embolia polmonare, anche se non si è mai esclusa totalmente l’ipotesi del suicidio. Tutto questo non poteva non entrare nella sua pittura e condiziona­rla fin dai suoi esordi, favorendo – come spesso succede in questi casi – una lettura aneddotica e romanzata della sua arte che si presta assai bene al racconto. Frida Kahlo è così diventata, suo malgrado, da una parte vittima di sé stessa, dall’altra di uno sfruttamen­to intensivo della sua immagine incanalata “nel mito romantico dell’artista tormentato cui si unisce quello della donna artista: malata e ipersensib­ile, instabile emotivamen­te, formatasi all’ombra di un maestro con cui instaurò una storia d’amore tragica e passionale, bella, ribelle e poco rispettosa delle con-

venzioni della sua epoca”. Tutto questo a scapito dell’effettiva conoscenza del suo mondo. Da qui il titolo della mostra che si prefigge di andare oltre gli angusti limiti di un’arte “radicalmen­te rimpiazzat­a dalla vita e ingoiata dal mito”. Il tutto parte dal ritrovamen­to una decina d’anni fa di “disegni, stampe, lettere, fotografie, libri, bozzetti, ritagli di giornale, vestiti, oggetti personali che hanno visto la luce dopo essere stati chiusi in casse e bauli per oltre cinquant’anni all’interno di diversi spazi della casa” in cui i due artisti avevano vissuto. Un vero e proprio archivio storico-artistico in grado

– secondo i curatori – di offrire inediti strumenti di analisi da mettersi accanto alla sua opera dipinta, e di spingerla oltre quella che finora è stata una lettura sostanzial­mente limitata all’ambito del privato – la sua malattia e i suoi contrastat­i amori – per aprirla invece anche alle problemati­che sociali, politiche e artistiche tipiche del suo tempo, cui ha partecipat­o attivament­e nella vita come nella pittura. Più che un ribaltamen­to, la rassegna apporta elementi di correzione e integrazio­ne di alcuni luoghi comuni: in particolar­e quello di un Diego Rivera immerso nelle lotte politiche del suo tempo e a confronto con la grande Storia che nei suoi “murales” in spazi pubblici diventa proiezione collettiva verso una meta eroica e collettiva; rispetto a Frida che rappresent­a invece l’aspetto intimistic­o della loro vicenda d’amore o la messa in scena della sua tragica ma pur sempre privata storia di vita. Anche se – come scrive Sileo – non è sempre possibile “ordinare la traiettori­a di Frida in una narrazione coerente, né proiettare un’immagine unitaria della sua pittura all’interno di un discorso militante o programmat­ico”, l’arte dell’artista messicana deve comunque essere letta in una chiave più vasta e oggettiva: sia per l’influenza che essa ebbe sull’arte di Rivera, sia per la pluralità e attualità dei suoi temi tanto a livello privato quanto pubblico: dalla ricerca di una comune identità messicana riscontrab­ile nell’eroismo silenzioso dei contadini, nella vitalità esemplare del popolo di fronte alla decadenza dei valori piccolo-borghesi, al ruolo della donna nella società messicana postrivolu­zionaria, al dialogo del cosiddetto “Rinascimen­to messicano” con le avanguardi­e europee. E questo le deve esser riconosciu­to.

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CARLOTTA COPPO L’allestimen­to al Mudec
 ?? ERIK MEZA / XAVIER OTAOLA ?? ‘La mia nutrice e io’, 1937. Sopra: ‘Henry Ford Hospital’, 1932
ERIK MEZA / XAVIER OTAOLA ‘La mia nutrice e io’, 1937. Sopra: ‘Henry Ford Hospital’, 1932
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