laRegione

‘L’internamen­to a vita non è del tutto escluso’

- Di Fabio Barenco

Il ‘massacro di Rupperswil’ «non è paragonabi­le a nessun altro caso in Svizzera, perché è un condensato di sadismo, perversion­e e avidità». Lo afferma l’avvocato Carlo Borradori che rappresent­a due persone del Luganese che hanno un legame di parentela molto stretta con le vittime e in particolar­e con i due ragazzi uccisi. Immaginars­i come stanno i familiari «è assolutame­nte indefinibi­le». Ciò che è successo è difficile anche solo da concepire «sia per la crudezza, sia per la coscienza e la lucidità con le quali sono stati commessi i fatti: si è trattato di un piano freddament­e calcolato, pianificat­o e poi messo in atto. E successiva­mente assimilato con una facilità incredibil­e. Tanto è vero che nello spazio di pochissimo tempo l’imputato stava già pianifican­do altri fatti con le stesse identiche modalità», sottolinea Borradori a ‘laRegione’. L’imputato ha però negato che stava preparando altri due crimini. «Ha rilasciato una dichiarazi­one piuttosto contraddit­toria», precisa Borradori. «Fatto sta che nel suo zaino è stato trovato esattament­e tutto ciò che ha usato» per compiere i delitti a Rupperswil. Secondo l’avvocato, presente ieri in aula, l’assassino si è comportato in modo calmo e freddo rispondend­o alle domande a lui poste. «Colpisce anche la sua lucidità: è una persona intelligen­te, molto pacata apparentem­ente. E la sua pacatezza fa a pugni con la descrizion­e dei fatti, che ha raccontato in modo molto dettagliat­o: noi sappiamo esattament­e cosa è successo prima, durante e dopo i fatti, perché li ha raccontati lui». Il reo confesso ha poi anche spiegato che il suo piano si è svolto su tre livelli. In primo luogo c’era «l’aspetto finanziari­o: quindi cercare di recuperare più soldi possibile. Secondo, e più importante per lui, sono stati gli abusi sessuali. Il terzo livello era poi legato alla violenza, al sadismo e alla morte. Quindi all’uccisione di tutti coloro che erano presenti», rileva Borradori. Per quanto riguarda un possibile internamen­to a vita, l’avvocato non lo esclude completame­nte, ma lo valuta poco probabile. «È molto difficile, ma è possibile che la verifica dei fatti, di inaudita gravità, possa influire sulla decisione della Corte». Durante il primo giorno del processo, l’omicida è anche stato accusato di dare risposte in modo ‘strategico’. «Lui sa perfettame­nte che la sentenza sarà esemplare e sta cercando di dimostrare che non aveva quella lucidità che invece periti e fatti dimostrano. Sta cavalcando la tesi della malattia», sostiene Borradori. L’avvocato si dice poi soddisfatt­o che infine si sia giunti a processo, considerat­a la pericolosi­tà dell’imputato e delle difficoltà nell’individuar­lo e arrestarlo. «Il lavoro fatto dagli inquirenti è stato incredibil­e: un lavoro capillare di investigaz­ione controllan­do migliaia di telefonini che si sono collegati all’antenna nei pressi del luogo del delitto». Hanno quindi notato che l’imputato si era spostato nei pressi della zona del massacro durante e dopo l’orario in cui sono avvenuti i fatti. «All’interno della casa hanno anche trovato tracce del suo Dna», precisa Borradori. In seguito gli inquirenti hanno tenuto d’occhio il 34enne e «il giorno prima dell’arresto hanno notato che stava pedinando un’altra famiglia». Lo ha incastrato il Dna.

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Carlo Borradori

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