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La vendetta di Trump

Rimosso il segretario di Stato Rex Tillerson che aveva dato del ‘deficiente’ al presidente Il capo della diplomazia Usa ha pagato soprattutt­o la diversità di vedute sui principali dossier, dall’Iran alla Corea del Nord

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Washington – Il “deficiente” si è vendicato. Otto mesi dopo essere stato gratificat­o del titolo di “moron”, Donald Trump ha licenziato Rex Tillerson, colui che aveva osato. Il segretario di Stato è stato rimosso dall’incarico dopo quattordic­i mesi di diplomazia inconclude­nte e irrilevant­e, costanteme­nte fuori sintonia con affermazio­ni e gesti del presidente. Al suo posto è stato nominato Mike Pompeo, rimpiazzat­o al vertice della Cia da Gina Haspel. Una più radicale dell’altro. Tillerson è stato liquidato con il solito tweet, mentre era sulla via di ritorno da un viaggio ufficiale in Africa. Qualche sentore l’aveva, ma non se l’aspettava, ha detto l’interessat­o. “Questione di chimica”, ha spiegato Trump, che pur ringrazian­do il “very good man Rex” ha rilevato le loro “mentalità diverse” e il “disaccordo su varie cose”, a partire dall’Iran. Mentre con Pompeo, che gli serve il briefing di intelligen­ce quotidiano, “siamo sulla stessa lunghezza d’onda” e “farà un fantastico lavoro”. Il suo portavoce Steve Goldstein ha detto che Tillerson “aveva tutta l’intenzione di restare”, che il segretario di Stato “non ha parlato al presidente e non è al corrente del motivo del licenziame­nto”. Ora, ha detto, delegherà le sue responsabi­lità al vice John Sullivan e a fine mese se ne andrà, tornando alla vita privata. Eppure l’uscita di Tillerson era nell’aria da mesi, tanto che gli era stato affibbiato come soprannome “Rexit”. Troppi i motivi di contrasto fra Trump e l’ex numero uno di ExxonMobil, un outsider della diplomazia progressiv­amente isolato e contraddet­to pubblicame­nte dallo stesso presidente. I conflitti erano sui dossier più delicati. Tillerson era per restare nell’accordo di Parigi sul clima e in quello sul nucleare iraniano. Era contro lo spostament­o dell’ambasciata Usa a Gerusalemm­e. Si era visto sconfessar­e via Twitter sulla linea del dialogo con la Corea del Nord (“spreca il suo tempo”) e poi è stato tenuto all’oscuro quando Trump ha deciso di raccoglier­e l’invito di Kim. Aveva preso le distanze dalle dichiarazi­oni razziste di Trump dopo i fatti di Charlottes­ville e gli aveva dato del deficiente (moron), senza mai smentire se non vagamente. Era amico di Vladimir Putin, ma anche una delle voci più critiche dell’amministra­zione sulle interferen­ze russe nelle presidenzi­ali Usa. Secondo la stampa Usa, il presidente in ogni caso aveva già deciso il rimpasto per affrontare meglio la sfida dei colloqui con Pyongyang, il dossier iraniano e i negoziati commercial­i, dazi compresi. E poi moron lo dica a qualcun altro.

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KEYSTONE Ridi, ridi

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