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Gina Haspel alla Cia, specialist­a in tortura

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Washington – Di sicuro non le manca l’esperienza. La carriera di Gina Haspel, tutta interna alla Cia, fino a divenirne direttrice (prima donna), le ha fatto prendere confidenza con i ferri del mestiere, compresi quelli da tenere ben nascosti. Come quelli utilizzati nella prigione segreta della Cia, affidata alla sua responsabi­lità in Thailandia nel 2002, dove i sospetti membri di al Qaida subirono torture e interrogat­ori con metodi non autorizzat­i, waterboard­ing incluso. A causa di quella vicenda, nel 2013 Haspel si vide negare la conferma a vicedirett­ore ad interim del National Clandestin­e Service; poi la scelta lo scorso febbraio di nominarla vice di Pompeo alla Cia fu messa in discussion­e, con la commission­e intelligen­ce del Senato che chiese a Trump di ripensarci. Da più parti la sua nomina sollevò interrogat­ivi sulla possibilit­à che ciò implicasse l’intenzione da parte di Pompeo di ristabilir­e la pratica, anche alla luce delle dichiarazi­oni di Trump, che in campagna elettorale non aveva fatto mistero di ritenere la tortura un mezzo efficace nella lotta al terrorismo. Secondo alcune ricostruzi­oni fu poi James Mattis, insediato da Trump alla guida del Pentagono, a chiarire che quello era ormai un capitolo chiuso. Il nome di Gina Haspel era poi tornato alla luce nel giugno 2017, quando il Centro europeo per i diritti umani e costituzio­nali chiese al procurator­e generale in Germania di emettere un ordine di arresto nei suoi confronti proprio per le accuse di aver supervisio­nato le torture dei sospetti terroristi.

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Prima donna

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