Viaggio nella storia del Borgo
Mendrisio raccontata con carte e documenti da fine Quattrocento all’età contemporanea
In attesa del suo riordino e trasferimento alla Filanda, abbiamo visitato l’archivio comunale cittadino
L’archivio della Città di Mendrisio sarà sotto un solo tetto, al centro culturale la Filanda. Per il suo riordino, il Consiglio comunale si esprimerà martedì 20 marzo sulla richiesta di 800mila franchi formulata dal Municipio (cfr ‘laRegione’ del 19 febbraio). Oggi l’archivio cittadino occupa parte dello stabile ‘ex scuola del disegno’. Stefania Bianchi, responsabile dal 1988 della gestione dell’ufficio che la impegna un giorno e mezzo la settimana, ci ha aperto le sue porte e ci ha permesso di prendere in prestito le sue considerazioni pubblicate in ‘L’archivio e le sue fonti’, saggio contenuto nel quaderno ‘Carte d’Archivio. Manoscritti, libri ed immagini per capire il Mendrisiotto e le sue genti’ (Casa Croci Mendrisio 2003). «La parola ‘archivio’ richiama, oltre all’immagine di tomi polverosi, carte macchiate dal tempo, incarti che hanno finito il loro corso proprio perché pratiche ‘archiviate’, quella di una sorte di miniera della memoria dove ricercatori e studiosi si addentrano in un passato più o meno lontano per ricostruire processi storici, cambiamenti socioeconomici, evoluzioni territoriali, o più semplicemente per delineare alberi genealogici – spiega Stefania Bianchi –. Ma non solo, perché ciò che conserva può costituire la premessa, oltre che per conoscere il passato, per progettare e costruire il futuro». A confermare la dichiarazione appena citata c’è anche la tipologia «molto variata» degli utenti. «L’archivio ha permesso a studiosi di incontrarsi e creare collaborazioni – spiega ancora Bianchi –. Ma non è solo un luogo per studiosi: abbiamo sì docenti universitari che arrivano con richieste mirate, ma anche laureandi e studenti sia dell’Accademia sia del Liceo, così come appassionati di storia locale che desiderano ricostruire le vicende familiari e risalire agli antenati».
‘Funzione operante e condivisa’
Oltre alla parte amministrativa comunale, il patrimonio archivistico comprende alcune donazioni e lasciti privati (come, per esempio, una serie di materiali preziosi del fondo Gino Macconi) e tutto l’archivio del vecchio Ospedale Beata Vergine. Si tratta di documenti che spaziano
dalla fine del Quattrocento all’età contemporanea. Fonti diverse che sono state utilizzate anche per mostre storiche organizzate da Stefania Bianchi nella cornice di Casa Croci. «Ho sempre amato le carte antiche – continua la responsabile –. Questo impiego pubblico è stato anche una sfida perché l’obiettivo era quello di trasformare in qualcosa di strutturato un deposito di documenti comprendenti le carte d’età balivale, tutta la mole di libri, registri, nonché la corrispondenza, prodotti dall’amministrazione comunale, e casse contenenti migliaia di volumi a stampa». Accanto alle mera operazione
di classificazione e all’attività di consulenza prestata ai ricercatori, la collaborazione con altre istituzioni ha permesso di «creare una rete significativa di contatti che vanno oltre i confini regionali». Conoscendo l’attività dell’archivio, sempre più privati concorrono a consolidarne il patrimonio consegnando preziosa documentazione: di recente l’archivio ha ricevuto delle foto aeree della prima metà del ’900 sul percorso della Breggia e l’area di Castel San Pietro. «Gli archivi sono vivi se la loro funzione è operante e condivisa; se sono solo depositi perdono il loro significato». Avere gli archivi cittadini riuniti sotto un unico tetto «sarà un grande passo in avanti proprio in riferimento al concetto di conservazione della memoria collettiva, che è il senso di questa operazione: ora gli archivi locali dei Quartieri non sono d’accesso immediato. Per ricercatori e appassionati del passato sarà una grande opportunità». E non solo per gli studiosi. «Anche per chi arriva da fuori l’opportunità di conoscere la realtà locale è fondamentale per un processo di integrazione e identificazione nella nuova patria di accoglienza». L’archivio può quindi costituire un valore per chi arriva da altri luoghi, e di certo lo è per chi dal comune è partito. «Tramite posta elettronica riceviamo regolari richieste dall’America latina, patria di molte famiglie ticinesi emigrate nella seconda metà dell’800, ma anche da tutta Europa – conclude Stefania Bianchi –. C’è questa necessità da parte dei discendenti di sapere qualcosa della loro storia e naturalmente, andando a ritroso, si rivolgono all’archivio del comune e della parrocchia. Queste richieste diventano indirettamente anche per me l’occasione per imparare nuove cose della vita pubblica e insieme quotidiana dell’odierno Canton Ticino».