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‘Non bisogna essere psicologi per ospitarli’

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Adem è musulmano, si alza ogni mattina alle 5 a pregare e frequenta la moschea. La sua fede è una delle poche cose che lo lega ancora alla sua terra. Per certi aspetti ha ancora i piedi in due mondi, quello che si è lasciato alle spalle e quello in cui vive oggi. «Mi chiedevo cosa pensasse di me, di una donna, di una madre che vede uscire di casa per andare a lavorare. Ma erano dubbi infondati: lui non giudica. Ogni tanto penso che comunque quando inizierà ad uscire non fumerà e non berrà, perché il suo credo glielo impedisce», dice Simona Spinedi Schoepf. Da grande Adem sogna di fare il medico, tornare in Etiopia e aiutare la sua gente. Di tanto in tanto, fa qualche incubo. «Sogna di venire aggredito. È legato a ciò che ha vissuto scappando. Ha nostalgia della sua famiglia ed è incerto per il suo futuro. Tutto ciò gli causa momenti di tristezza, dove è taciturno». Chiediamo alla psicoterap­euta, esperta in traumi, se ci vogliono competenze profession­ali per ospitare e seguire ragazzi con questi vissuti oppure è alla portata di tutti o quasi. «Non bisogna essere psicologi per diventare genitori, non sai mai cosa ti aspetta ma impari strada facendo», precisa. Quando c’è un vissuto traumatico è meglio affrontarl­o – dice l’esperta – perché si rischia di sviluppare, anche anni dopo, la sindrome post traumatica da stress, ossia un’ansia invalidant­e e reazioni sproporzio­nate di allerta come se il pericolo fosse imminente. «Cambia tutto sapere che non sei completame­nte vulnerabil­e e hai figure di riferiment­o», spiega.

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