laRegione

Il lusso nel mirino del fisco

La Francia apre un’indagine sul gruppo Kering con quartier generale a Cadempino L’accusa è di aver sottratto alle tasse 2,5 miliardi di euro fra il 2002 e il 2017 tramite la piattaform­a logistica ticinese Luxury Goods Internatio­nal

- Di Cristina Ferrari

Spirano ‘nuovi’ preoccupan­ti venti sul mondo del lusso mondiale. Il ministro francese dell’economia Bruno Le Maire – secondo quanto riportato dall’Agenzia telegrafic­a svizzera – ha annunciato che è in corso un’indagine sul gruppo parigino Kering, la multinazio­nale del fashion controllat­a e gestita da François Henry Pinault, marito della nota attrice Salma Hayek. L’accusa è di elusione fiscale per 2,5 miliardi di euro, quasi 3 miliardi di franchi, fra il 2002 e il 2017. Il colosso del lusso – che controlla fra gli altri i prestigios­i marchi di alta moda Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen e Stella McCartney – si sarebbe servito della sua piattaform­a logistica Luxury Goods Internatio­nal, con sede a Cadempino. “Vi è un’inchiesta in corso e andrà fino alla fine –, ha affermato Le Maire ai microfoni di ‘France Inter’ –. Il principio della giustizia fiscale viene difeso in questo caso come in tutti gli altri”. Secondo quanto pubblicato dal sito di informazio­ne francese ‘Mediapart’, Kering avrebbe risparmiat­o imposte per 2 miliardi di euro dal 2009, di cui 1,4 miliardi per Gucci e 180 milioni per Yves Saint Laurent, altra prestigios­a griffe della moda internazio­nale. Stando all’inchiesta giornalist­ica, risalendo al 2002 la cifra raggiunger­ebbe i 2,5 miliardi. Da parte sua, in una presa di posizione inviata alla ‘Reuters’, Kering ha fatto sapere che “il gruppo paga le imposte dovute in Svizzera, conformeme­nte alla legge e allo statuto fiscale della società”. Il modello è noto al fisco francese e alle altre autorità tributarie competenti. Principale fonte di profitti per Kering, Gucci è al centro di un’inchiesta per evasione fiscale avviata nel novembre 2017 dalla Procura di Milano (cfr. ‘laRegione’ del 30 gennaio). La giustizia italiana sospetta, infatti, che il gruppo abbia dichiarato in Svizzera attività in realtà realizzate in Italia. Nel mirino un articolato sistema di holding tra Confederaz­ione elvetica, Olanda e Lussemburg­o.

Sollecitat­o il governo cantonale

Il tema fra l’altro è stato ripreso dalla ‘SonntagsZe­itung’. Stando alle carte dell’inchiesta citate dal domenicale zurighese, gli inquirenti avrebbero scoperto che venti top manager erano attivi in Ticino solo sulla carta, mentre in realtà avevano i loro uffici nel capoluogo lombardo. E ieri il ribattersi della notizia sui maggiori portali ha portato ai primi atti parlamenta­ri anche in Ticino. Il deputato del Movimento per il socialismo, Matteo Pronzini, e il socialista Ivo Durisch, hanno inviato, singolarme­nte, un’inter-

Di abito in abito, di tassa in tassa

rogazione al Consiglio di Stato. Pronzini vuole conoscere il numero dei manager legati al gruppo parigino, o alle sue affiliate, che risultereb­bero essere residenti in Ticino. Inoltre se siano state effettuate delle perquisizi­oni ai domicili degli amministra­tori e se la sede di Cadempino sia stata perquisita oltre ad essere in atto una richiesta di rogatoria da parte dei magistrati italiani. Pronzini non manca di riprendere il tema, controvers­o, dei globalisti: come è possibile – domanda al governo cantonale – che il ceo di Gucci abbia ottenuto di pagare le imposte a forfait se svolge un’attività lucrativa in Ticino? È una pratica corrente? Il granconsig­liere del Partito socialista mira invece a conoscere le eventuali ripercussi­oni che l’inchiesta avrà in Ticino, ponendo in evidenza che non è la prima volta che il gruppo finisce nella bufera: già nel 2014 i sindacati avevano denunciato l’estrema precarizza­zione dei dipendenti.

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