laRegione

Per Max Giusti non va tutto bene

L’intervista / Max Giusti al Teatro Sociale a Bellinzona con il suo spettacolo, ‘Va tutto bene’ Se far ridere è una cosa seria e difficile, scopriamo i retroscena del successo del comico romano: tanto lavoro, voglia di divertirsi e di osservare senza ster

- Di Claudio Lo Russo

Il comico romano sarà in scena al Sociale a Bellinzona. In un’intervista gettiamo un’occhiata dietro le quinte della sua comicità di successo, in cui il primo a divertirsi è proprio lui...

Pagina 20

Il programma del Sociale recita ‘Cattivissi­mo Max’, ma da cattivi svizzeri arriviamo in ritardo. In realtà lui, Max Giusti, è più avanti. Da poche settimane ha infatti debuttato a Roma con il nuovo spettacolo, ‘Va tutto bene’, inteso in quanto mantra italico per esorcizzar­e qualsivogl­ia inquietudi­ne. Essendo il titolo di uno show comico, l’ironia è d’obbligo, e promette di colpire le nostre più o meno tragicomic­he abitudini di scafati abitanti del nuovo millennio. A Bellinzona sarà in scena domani e venerdì alle 20.45. Comico, attore, presentato­re tv, animatore radiofonic­o e doppiatore, Max Giusti passa con encomiabil­e agilità dai suoi personaggi resi celebri da contenitor­i come ‘Quelli che il calcio’ ai suoi “one man show”, dai pacchi di ‘Affari tuoi’ ai ruoli drammatici in fiction poliziesch­e, fino alla voce di Gru in ‘Cattivissi­mo me’. Convinti che la comicità sia una cosa seria, abbiamo provato a gettare uno sguardo nella sua officina creativa. E lui, alla cornetta, ci ha subito investiti con l’energia contagiosa di chi non si risparmia, di chi sorride sempre e in ogni momento ne pensa una nuova, e non riesce ad aspettare la fine della domanda...

Per un comico cattivo può davvero andare ‘tutto bene’?

A Bellinzona ci sarà moltissimo dell’ultimo spettacolo. Più che prendermel­a con qualcuno, affronto un percorso diverso. Dunque, siamo arrivati nel terzo millennio: va tutto bene? Sì, però io forse mi aspettavo di più... Che cosa ci era stato promesso, come ce lo aspettavam­o questo 2000? In Italia siamo diventati schiavi di chef che ti trattano malissimo, siamo così politicall­y correct che l’unica categoria di persone che possono trattare male tutti e diventare idoli sono i cuochi. Un’altra cosa che mi fa sorridere è il fatto che ci siamo totalmente informatiz­zati in ogni cosa che facciamo, ma tutti questi input che riceviamo sono realmente utili? Ci fanno vivere meglio o no? Sul palco si interroghe­ranno insieme a me anche alcuni grandi italiani e non solo, come Vasco Rossi, Ligabue e il narratore dello spettacolo, Sir Elton John...

Torniamo nell’altro millennio: quando ha deciso che la comicità sarebbe stata la sua profession­e?

La mia prima stagione all’Al Fellini, che era un po’ lo Zelig romano, è stata nel 1984-85, quando avevo 16 anni, ero un adolescent­e. Ma vivo di questo mestiere dal 1991. Io vengo da una famiglia semplice: mio padre era un metalmecca­nico, mia mamma faceva la commessa in un negozio di ferramenta. Loro hanno aperto un piccolo negozio, ma io ho scelto di non seguire le orme di famiglia e mi sono lanciato in questa attività.

Quando ha capito che faceva ridere?

Da ragazzino, perché non mi sono mai piaciute le tavolate dimesse, senza sprint... In realtà faccio ridere le persone

perché usufruisco io in prima persona di questo buon umore. Mi piace divertirmi e non potrei dire sul palcosceni­co qualcosa che non faccia ridere anche me.

Dopo anni di successi, doppiare un personaggi­o di fantasia le ha insegnato qualcosa di più?

Assolutame­nte, ‘Cattivissi­mo me’ ha coinciso con due passaggi importanti­ssimi per me. Prima di tutto, ho dovuto inventare la voce di Gru, perché quello di Steve Carell era un lavoro su un’inflession­e molto forte degli immigrati dell’Est Europa negli Stati Uniti. Ora, la comicità americana è molto più scorretta della nostra: immaginiam­oci che cosa sarebbe successo se in Italia avessi fatto la voce di un cartone animato dal titolo

‘Cattivissi­mo me’ con l’accento di un immigrato dell’Est... Sarebbe stato fuori luogo. Quindi ho avuto carta bianca dalla Universal per ripartire da zero, per cui dopo un paio di giorni di lavoro è nata questa voce un po’ particolar­e (la riproduce al telefono, ndr): volevo una voce che fosse forte, al limite del cattivo, ma che potesse diventare tenera. È stato un lavoro di grande libertà e creatività. La seconda cosa bella è che l’uscita del primo ‘Cattivissi­mo’ è coincisa con la nascita del mio primo figlio, diciamo che mi ha avvicinato ai bambini, ho respirato un mondo dei cartoon che ci rimanda ai buoni sapori, oltre che ai buoni propositi, dell’infanzia. Ora mi chiedono decine di messaggi audio, “mi fai la voce di Gru per mio figlio?”, e a me fa sempre molto piacere perché i bambini sono la cosa più bella che abbiamo.

Quale parte ha lo studio nel lavoro di un comico?

Molto importante. Ti faccio un esempio: ogni anno rincontro la mia città, Roma, e ogni anno dev’essere uno spettacolo nuovo. Secondo me la vera sfida non è solo divertire, ma far divertire in maniera non banale. In quest’ultimo spettacolo vi accorgeret­e che parlerò di alcuni argomenti molto vicini alle persone, ma lo sviluppo è originale. Ti assicuro che oggi far ridere in maniera originale dal Ticino alla Sicilia, senza usare il primo stereotipo che ti viene in mente, è assolutame­nte difficile, serve una preparazio­ne enorme. Occorre presentare qualcosa che non sia solo una caricatura. Con i miei autori abbiamo fatto un lavoro maniacale e certosino, ci vogliono quattro mesi per realizzare uno spettacolo nuovo.

Lei è anche un presentato­re tv, oltre ad essere stato un concorrent­e in un talent show. Ma, visto che quella della comicità è da sempre una voce nobile, che mette alla berlina ogni forma di autorità, il fatto di calarsi in più ruoli diversi non rischia di togliere al comico libertà e credibilit­à?

Forse sì, ma non libertà. Quando sono in un teatro e tu paghi un biglietto per vedermi, io mi sento davvero libero di dire ciò che penso, rischiando di avere pernacchie o applausi. In realtà sono affascinat­o da nuovi progetti, non mi piace avere una sola cosa da fare. Non penso di essere il più bravo in nessuna delle cose che faccio, ma se guardo il panorama dello spettacolo italiano penso di essere unico; passo dalla conduzione del game show in prime time, con una responsabi­lità enorme perché le entrate pubblicita­rie dipendono da quella fascia oraria, ai varietà del sabato sera, dalle fiction alle commedie musicali, dai miei personaggi, alle parodie, al doppiaggio. Sono quello che fa più cose perché sono proprio così, la cosa più bella per me è affrontare un nuovo lavoro, con l’entusiasmo che ti dà un’altra avventura. Adesso sto scrivendo il mio primo film, perché ero stufo di fare lavori che non mi rappresent­avano. In America c’è un’idea più ampia di quel che si può fare, ed è quella che mi affascina di più: cambiare è il grande privilegio che mi riservo.

(Stasera alle 20.45 al Sociale il concerto di Pippo Pollina ‘Solo Tour 2018 – Cento Chimere’).

 ??  ??
 ??  ?? ‘Ci siamo totalmente informatiz­zati in tutto ciò che facciamo, ma questi input che riceviamo sono realmente utili?’
‘Ci siamo totalmente informatiz­zati in tutto ciò che facciamo, ma questi input che riceviamo sono realmente utili?’

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland