‘Il linguaggio della Chiesa’
«Questo, a ben vedere, è uno scambio fra gente che si occupa di parlare e farsi capire. Media e Chiesa hanno un linguaggio comune» annota mons. Valerio Lazzeri, vescovo di Lugano, durante l’annuale incontro con i giornalisti. Un appuntamento informale, voluto per dare e ricevere stimoli. Quest’anno c’è da ricordare il venticinquesimo della Facoltà di Teologia, ma l’approccio vescovile non cambia. Anzi essere qui, negli spazi universitari, è occasione per ricordare che in questa sede «si studia il linguaggio appropriato della Chiesa» e la Facoltà di Teologia non è «luogo di tattica e strategia per aggredire il mondo con cose già note». No, è piuttosto luogo «di fatica bella e impegnativa per trovare le parole giuste». Tre, a detta di Lazzeri, le coordinate che reggono la comunicazione della Chiesa, ma che a ben vedere si possono applicare in ogni campo teorico e non. «In primo luogo la memoria del passato, da coltivare. Ma anche l’attenzione alla compagnia degli uomini e delle donne, in un confronto fra memoria cristiana e le domande contemporanee, così da avere consapevolezza su ciò che si ha da dire. Partendo dalla propria umanità». E non ultimo, il linguaggio «deve essere rivolto al futuro,
deve aprire gli orizzonti oltre i circoli chiusi dell’ideologia: deve essere profezia, per non rimanere bloccati nel qui e ora». E, giusto per tradurre in prassi quanto appena detto, il vescovo di Lugano – sollecitato dai giornalisti – facendo riferimento allo status accademico luganese, ha precisato anche che «una facoltà universitaria non è un’isola e dunque anche qui vi sono ambiti in cui si può lavorare in relazione col territorio. Penso all’ambito ecclesiale, ma anche a quello culturale, che già offre e può ulteriormente offrire nuovi spunti di riflessione». Perché il cammino, qui come altrove, continua. A.BE