laRegione

Il conto libico di Sarkozy

- Di Erminio Ferrari

La parola di un ex presidente, vivo, contro quella di un ex dittatore, morto. Sarebbe forse caricatura­le ridurre a questo il caso costato a Nicolas Sarkozy l’iscrizione nel registro degli indagati, e (continuand­o su questo registro) la vita a Muhammar Gheddafi, ma non lontano dal vero. L’accusa di avere illecitame­nte ricevuto milioni di euro per le proprie campagne presidenzi­ali non è nuova per Sarkozy, già rinviato a giudizio per il cosiddetto affaire Bygmalion (una questione di sovrafattu­razioni per mascherare finanziame­nti illegittim­i) relativo a quella del 2012. Né del tutto nuove sono quelle riferite alla campagna vittoriosa del 2007, che hanno aggiunto al suo palmarès questa libertà vigilata, inedita per un politico del suo rango. Il caso era già stato sollevato sei anni fa dal sito d’inchiesta Mediapart, che rivelava il versamento di cospicui finanziame­nti libici a favore di Sarkozy, concordati nel corso di una sua visita a Tripoli, quando ancora era ministro dell’Interno di Chirac. Tutto sempre sdegnosame­nte negato da Sarkozy; tutto analizzato dalla giustizia francese, la cui memoria è lunga e la cui raccolta di testimonia­nze non si è fermata neppure davanti ai personaggi più impresenta­bili. Il più impresenta­bile dei quali, il già citato “Colonnello”, non può più parlare. Quel Gheddafi che sette mesi dopo l’elezione di Sarkozy all’Eliseo piantò la propria tenda circense a Parigi, accolto con tutti gli onori (come ancora gli vennero tributati nel 2009, tenda e tutto, da Berlusconi), ma che tornò a essere un nemico pubblico quando, il 10 marzo 2011, lo stesso Sarkozy fu il primo capo di Stato a riconoscer­e il Consiglio nazionale di transizion­e di Bengasi che si era messo alla testa (o così millantava) dell’insurrezio­ne libica. Il 19, Saif, un figlio di Gheddafi, disse: «Sarkozy deve restituire alla Libia i soldi che ha ricevuto per finanziare la sua campagna elettorale». Di lì a poco l’Onu autorizzò i bombardame­nti sulla Libia di cui si era incaricata la Nato; e il 20 ottobre Gheddafi venne ucciso, ridotto a un fantoccio insanguina­to. Che cosa è la Libia da allora, e quale potentissi­mo elemento di destabiliz­zazione anche per l’Europa sia diventata, è sotto gli occhi di tutti. Ma non stiamo qui sceneggian­do una spy story, dove il testimone scomodo deve essere fatto fuori; e tutto sommato, viste da qui, non è così importante che siano vere o no le accuse di fonte libica a Sarkozy (delle quali non si può ignorare un elemento di rivalsa). Piuttosto, è del tutto chiaro che la natura torbida delle sue relazioni con il regime di Gheddafi sia stata un fattore determinan­te del disastro in quella parte di Nord Africa. Sarkozy tuttavia, e prescinden­do dalle responsabi­lità penali, non ha agito del tutto fuori da un solco della politica estera francese che ha sempre considerat­o l’Africa un territorio di cui disporre a proprio esclusivo beneficio: di una grandeur dura a morire, dell’approvvigi­onamento di materie prime necessarie ad alimentarl­a, di tornaconti individual­i. Con il corollario di complicità avide non meno che politicame­nte oscene. Per dirne due: dai diamanti ricevuti in regalo da Valéry Giscard d’Estaing da Bokassa, ai silenzi complici di François Mitterrand nel genocidio del 1994 in Ruanda. Quanto a Sarko, appena eletto, andò in Senegal a dire agli africani che non erano entrati nella Storia perché non ne avevano una propria… Questo incauto esemplare della politica retta sulla ricchezza (altrui) sembra dunque finito vittima di quella macchina del potere che tanto ha ambìto possedere. Trascurand­o che quel potere, una volta sfuggito di mano, è una condanna.

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