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Internamen­to sì, ma ‘a vita’?

- Di Carlo Lepori, deputato Ps

Giovedì scorso, il direttore Caratti si chiedeva: «Internamen­to, se non ora quando?». Intendeva (…)

Segue dalla Prima (…) evidenteme­nte il cosiddetto «internamen­to a vita», introdotto nel nostro Codice penale a seguito dell’infausta iniziativa costituzio­nale, approvata nel febbraio 2004. Governo e parlamento avevano infatti raccomanda­to di respingerl­a. Essa esige che «il criminale […] estremamen­te pericoloso e classifica­to come refrattari­o alla terapia deve essere internato a vita. Liberazion­i anticipate e permessi di libera uscita sono esclusi». E che il riesame è possibile solo «qualora nuove conoscenze scientific­he permettano di dimostrare che il criminale può essere curato». Al processo per il terribile assassinio multiplo di Rupperswil, la procuratri­ce Barbara Loppacher, che ha condotto la difficile inchiesta (per mesi la polizia non aveva indizi e sono stati anche offerti centomila franchi di ricompensa), ha chiesto oltre all’ergastolo anche l’«internamen­to a vita». Il tribunale ha accettato la richiesta della massima pena prevista dal nostro Codice penale. Per la pericolosi­tà dell’imputato non ha però ordinato l’«internamen­to a vita», ma l’internamen­to «ordinario», che prevede la possibilit­à di riesami periodici. Prima di tutto va quindi chiarito che Thomas N. dopo aver scontato l’ergastolo (20 anni di carcere) sarà internato e probabilme­nte non potrà più godere della libertà. Il dibattito sull’«internamen­to a vita» si rivela dunque come un elemento di disturbo nel nostro sistema giuridico; atto a creare delusione e incomprens­ione in chi si aspetta che venga applicato come garanzia estrema di sicurezza. L’«internamen­to a vita» è già stato deciso cinque volte dai tribunali, ma per quattro volte è stato annullato dal Tribunale federale (una volta il condannato ha rinunciato all’appello). Perché l’«internamen­to a vita» non è stato applicato oggi e non ha mai superato il controllo del Tribunale federale (come non avrebbe possibilit­à di fronte alla Corte europea dei diritti umani Cedu)? Che una persona possa essere internata senza possibilit­à di revisione, se non per «nuove conoscenze scientific­he» è già una posizione insostenib­ile: mentre la privazione della libertà è una punizione stabilita dal tribunale, in base a fatti accertati e alla gravità degli stessi, l’internamen­to è basato sulla pericolosi­tà del soggetto, condizione quindi da controllar­e periodicam­ente. Ancora più problemati­co è stabilire che il criminale è «refrattari­o alla terapia», inteso per sempre. Uno psichiatra serio potrà esprimersi sulle possibilit­à terapeutic­he attuali, ma non si arrischier­à mai ad affermare che una persona sarà refrattari­a alla terapia anche in futuro. E per legge ci vogliono due perizie indipenden­ti che giungano a questa conclusion­e. Anche l’iniziativa per l’«internamen­to a vita per criminali sessuomani o violenti estremamen­te pericolosi e refrattari alla terapia», firmata da più di centonovan­tamila cittadine e cittadini e approvata da popolo (56%) e Cantoni l’8 febbraio 2004, si rivela come una delle purtroppo sempre più numerose iniziative che propongo soluzioni apparentem­ente facili, ma che si rivelano di fatto inapplicab­ili. Anche se in questo caso la proposta è nata probabilme­nte in buona fede, iniziative come questa tendono a distrugger­e la fiducia delle cittadine e dei cittadini nel nostro sistema politico e giudiziari­o (vedi «Distrugger­e le nostre tradizioni democratic­he - Istruzioni per l’uso», il Mancino, 7 marzo 2018, bit.ly/ilMancino7­03). Una riflession­e su questo abuso delle nostre tradizioni democratic­he s’impone! E per tranquilli­zzare chi fosse ancora convinto che il problemati­co «internamen­to a vita» potrebbe servire a proteggere la nostra sicurezza, la ‘SonntagsZe­itung’ dell’11 marzo scorso ha pubblicato i risultati di un’indagine di Thomas Freytag, direttore dell’Ufficio per l’esecuzione delle pene del Canton Berna: «Negli ultimi dieci anni le autorità hanno concesso la libertà condiziona­ta solo al due percento delle persone sottoposte all’internamen­to ordinario. Nel 2015 sono state liberate due persone, nel 2016 una e nel 2017 nessuna. I pochi che raggiungon­o la libertà sono praticamen­te sempre anziani, malati e non più in grado di compiere gravi delitti: così l’internamen­to ordinario è de facto un internamen­to a vita».

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